seguito da: Stendhal e i Ricordi di un gentiluomo italiano
Il protagonista della story, il «gentiluomo italiano» del titolo, personaggio senza nome ma di nascita, casato (altolocato) ed educazione romani, narra le vicende sue e della propria famiglia nell’arco di tempo che va dal 28 dicembre del 1797, uccisione a Roma del generale francese Mathurin Léonard Duphot consigliere militare dell’ambasciatore Joseph Bonaparte fratello di Napoleone, al 1814, quando, il 24 maggio, Pio VII ritornava nella città capitale del suo Stato. Il giovane gentiluomo, oppresso da un’educazione codina, autoritaria e vessatoria (appena temperata dalla breve, stimolante parentesi rappresentata dall’incontro con il «miscredente» avvocato Burner), non appena gli fu possibile cercò una via più congeniale alle sue inclinazioni e in sintonia col vorticoso volgere degli eventi; infatti, affascinato dal clima creatosi in Roma dalla rinnovata presenza (2 febbraio 1808) dei francesi, richiese ed ottenne la patente di ufficiale, per quindi passare nei ranghi dell’amministrazione imperiale. L’arresto e la deportazione di Pio VII (5-6 luglio 1809), del resto, davano impulso in Roma a manifestazioni di francofilia che in qualche modo contagiarono il nostro eroe. Come osserva egli stesso, dopo
la partenza del Santo Padre, le cose mutarono decisamente. Furono dimenticate le scomuniche e ognuno si affrettò ad accettare gli impieghi del governo francese. Tuttavia, qualche zelante partigiano del papa preferì ai profitti della sottomissione l’onere di restar fedele ai propri princìpî. (…) Siccome io non condividevo (certi) pii scrupoli, mi recai a Foligno, città situata a circa cento miglia da Roma, per amministrarvi, in nome del governo francese, le proprietà nazionali. Rinunciai al mio grado di sottotenente, e (mi misi) in cammino.
L’avventura folignate del giovane funzionario dovrebbe essere cominciata nel periodo a cavallo del 1810, coincidendo con il momento nel quale il sottoprefetto del circondario di Foligno, Jean Canali, dava corso all’accertamento statistico sui “luoghi pii” e sugli “stabilimenti di carità” e alle registrazioni analitiche dei loro patrimoni, preludio alle soppressioni e successive dismissioni di quell’asse. Sul viaggio verso Foligno, lo stile bozzettistico del narratore ha modo di manifestarsi a tutto tondo:
Il carattere dei miei compagni di viaggio merita che dedichi loro qualche parola. Erano un avvocato, già avanti negli anni, che andava con la sua giovane sposa a Foligno per esercitarvi funzioni amministrative, e un frate cappuccino che tornava nel suo convento di Perugia. Quest’ultimo poteva avere circa sessant’anni. La gotta non l’aveva risparmiato, ma nonostante le sue sofferenze, era di così buon umore, che ci tenne allegri per tutto il viaggio. Era d’altra parte un uomo di valore che era stato predicatore e confessore della regina di Napoli, sposa di Ferdinando IV.
Metto da parte il frate (un vero mariuolo, stando ai rapporti simoniaci da lui intrattenuti con la poco virtuosa regina di Napoli) e osservo che l’avvocato aveva una ragion d’essere del tutto verosimile, essendo Foligno sede di uffici pubblici quali la Sottoprefettura, il tribunale di Prima Istanza civile e criminale, la giudicatura di Pace, il tribunale di Commercio, il tribunale di Dogana, la Dogana di prima classe, la conservatorìa delle Ipoteche, distinti uffici del Censo e del Bollo e Registro, l’ispettorato dei Boschi e Foreste. Quanto alla nuova situazione, il contatto con essa è altrettanto efficacemente descritto:
Arrivato a Foligno, entrai subito nell’esercizio delle mie funzioni. Una delle prime misure adottate fu la soppressione dei conventi maschili e femminili. Compilai l’elenco di tutte le loro entrate e delle loro proprietà. Visitando l’interno di questi conventi mi resi conto di quante vittime vi erano rinchiuse, immolate ai capricci e alle ambizioni delle famiglie, le quali, per dotare riccamente il loro figlio maggiore, condannavano tutti gli altri al tormento di una reclusione eterna.
Dopo la premessa, uno squarcio riflessivo pungente, degno di quell’ateo, libertino e dandy che era Stendhal:
Tuttavia – aggiunge l’io narrante – le vecchie suore subirono con dolore l’obbligo di dover lasciare il rifugio in cui comandavano da regine, mentre le giovani che la violenza aveva forzato a rinunciare al mondo, testimoniavano la più viva soddisfazione e mi chiedevano qualche volta a bassa voce quando sarei tornato a liberarle. La loro ingenuità mi faceva sorridere, ma, pensandoci bene, avrei desiderato far giustizia severa di quei genitori snaturati che si erano trasformati in carnefici dei loro figli.
Lo squarcio riflessivo continua con alcune considerazioni coerenti con l’impostazione libertina: sulla valutazione quantitativa del complessivo patrimonio conventuale-monastico messo in relazione con la quantità di bocche che sarebbe in grado di alimentare; sull’osservazione relativa ai frati e ai monaci, quali «pii fannulloni»; sulla (birichina) raccolta di informazioni relative ai «segreti del mestiere, e gli intrighi dei monaci con le donne più in vista della città, che li corteggiavano per trarre profitto dalle loro ricchezze e dal loro credito», in una singolare miscela di ipocrisia, depravazione e opportunismo; sul destino dei beni ecclesiastici soppressi, tema che consente al gentiluomo narrante di dar corso ad un risvolto storico e ad uno slittamento di piano:
Quando fu terminato il mio lavoro sui conventi, i beni furono venduti all’asta: non essendo il prezzo molto elevato, tutti i borghesi si affrettarono ad acquistarne senza preoccuparsi della provenienza.
segue in: Il carnevale e il cucugnaio