Giuseppe Barugi

Giuseppe Barugi (1771-1849) era Fulgineo dal 1795, e nel medesimo anno veniva subito eletto nel Collegio dei XII Viri Accademiae Fulginiae Coservandae ininterrottamente riconfermato nei due rinnovi del 1815 e del 1826 (non si hanno notizie di successive tornate accademiche concernenti l’assetto del Collegio); eletto nel 1815 assessore dell’Accademia, a nostra conoscenza, non svolse interventi accademici e letterari di sorta. Tra i promotori della costruzione di un nuovo teatro, nel 1827 entrava nel consiglio direttivo dell’Accademia del Teatro Apollo. Il poligrafo folignate Giuseppe Bragazzi (1808-84) che lo conobbe personalmente sottolinea, nel Compendio della storia di Fuligno, il ruolo avuto da Barugi nella ricostituzione post-napoleonica delle scuole pubbliche cittadine; in effetti, nella sua veste di rettore pro tempore di esse, Barugi aveva pilotato e concluso nel 1822 un nuovo contratto di affidamento ai Barnabiti delle scuole comunali nel Collegio di San Carlo nel quale quei religiosi avevano fatto ritorno dopo la soppressione operata in età imperiale. Fu molto attivo sulla scena pubblica-politica, della quale è opportuno delineare qualche tratto a partire dal 15 febbraio 1797 quando entravano in Foligno le truppe francesi (12 mila uomini) al comando del generale Victor Perrin; ciò permetterà di meglio tratteggiare la complessa figura del Nostro.

     Entro il 25 marzo del 1797, i militari francesi furono smistati tra Umbria e Marche, quindi, il 25 marzo sopraggiungevano le truppe pontificie. Infatti, con il trattato di Tolentino del 19 febbraio appena trascorso, si era convenuto che la sovranità del papa si ristabilisse su Lazio, Umbria e Marche, ma, in cambio, i francesi avevano ottenuto l’annessione di Avignone in Francia, i territori di Bologna, Ferrara, Romagne, e la facoltà di occupare Ancona. Si apriva una fase di transizione, caratterizzata: dalla ripresa delle ostilità tra Francia ed Austria, dalla sconfitta di quest’ultima, dal trattato di Campoformido (17 ottobre) con le sue conseguenze, dalla proclamazione della repubblica in Ancona (19 novembre), dalle susseguenti insurrezioni delle comunità costiere dell’Adriatico, quindi, con il 22 gennaio del 1798, dalla trasformazione repubblicana di molte realtà marchigiane eccezion fatta per il Camerinese, il Fermano e l’Ascolano; ma anche, e si direbbe soprattutto, questo periodo transitorio fu caratterizzato dall’uccisione in Roma del generale Léonard Duphot (27 dicembre ’97) e ciò fu l’occasione attesa dalla Francia per innescare un intervento militare risolutore. Così, il 5 febbraio 1798, i francesi al comando del generale Louis-Alexandre Berthier calavano in Foligno. Entro il 20 dello stesso mese, transitavano almeno 30 mila militari; nel frattempo: lo stesso 5 febbraio Foligno era stata “dichiarata repubblica”, il 7 era stato “messo l’albero della Libertà”, l’8 aveva preso stanza un presidio militare di 800 francesi (e stabilmente sarebbe rimasto fino al mese di aprile), si era formata la prima Municipalità repubblicana composta da Giuseppe Fedeli, presidente, Carlo Giberti Mattòli, Decio degli Onofri Barugi (era il fratello di Giuseppe Barugi), Francesco Colombi, Francesco Pizzoni (sul quale, infra la voce relativa), Francesco Brunetti, Francesco Antonio Piermarini (fratello del celebre architetto Giuseppe), mentre Giuseppe Barugi aveva assunto il comando della Guardia Civica.

     Nelle linee generali la vicenda politica locale procedeva secondo le dinamiche proprie del ciclo repubblicano avviato nel ’97, finché, il 19 giugno 1799, si affacciava sulla scena folignate un gruppo (numericamente imprecisato) di insorgenti, e, tra il 23 giugno e il 4 luglio, Foligno diventava un centro operativo dei francesi contro gli insorgenti attestati nelle Marche, in particolare nella vicina Camerino. Ma ormai gli austriaci si stavano avvicinando, e il 5 agosto si verificò in Foligno una sollevazione antifrancese di una parte della popolazione. Il successivo giorno 6, gli imperiali entravano in città: memorie del tempo, redatte da un fedele suddito del papa, descrivono con grande compiacimento la fine della parentesi repubblicana e quanto vi fece seguito fino a tutto il dicembre del ’99 enumerando con puntigliosa precisione i contingenti militari di passaggio e le loro entità. Nel mezzo di questo turbinìo di austriaci, ungheresi, croati e turchi diretti verso le Marche o da lì provenienti, il 6 ottobre del ’99 si era riusciti ad arrestare “sei giacobini, veri capi, che erano fuggiti da Roma per andare a Bologna”. L’operazione di polizia antigiacobina proseguiva l’indomani 7 ottobre spostandosi a Trevi. I trasferimenti di truppe interessarono la città per tutto il periodo della Reggenza che si protrasse fino al 15 febbraio del 1800; poi ricominciarono coprendo l’intero mese di maggio fino alla caduta di Genova (che era stata occupata dal generale André Massena), evento salutato da noi (9 giugno) con manifestazioni di esultanza. Non era ancora la fine della temporanea egemonia francese in Italia, ma questa non sarebbe stata lontana: nell’agosto, il generale Aleksandr V. Suvorov avrebbe inflitto una sconfitta decisiva a Barthélemy Catherine Joubert con la battaglia di Novi Ligure.

     Intanto, il 2 marzo 1800, vi era stata in Foligno una sollevazione di popolo senza precedenti. Questa volta non s’era trattato di una rivolta antifrancese: non è da escludere che gli agitatori, dei proletari, fossero una frangia di “giacobini” che fece leva sui bisogni di una popolazione ridotta allo stremo dal susseguirsi incalzante degli eventi, dei regimi, degli eserciti. Il volgere delle vicende internazionali riportava in auge l’egemonia della Francia di Napoleone nella Penisola e faceva nuovamente di Foligno il centro operativo dei francesi. Qui, il 4 febbraio 1801, Gioacchino Murat stabiliva il quartier generale diretto verso il Mezzogiorno. Una presenza fugace; poi tra il 12 e il 17 giugno 1809, si apriva una più incisiva e durevole fase all’insegna di Napoleone; quindi, con la sconfitta di Bonaparte a Lipsia (16-19 ottobre 1813), cominciava il crollo del sistema napoleonico e ciò si ripercuoteva anche in Foligno. Dal 17 dicembre del ’13, la città si ritrovò all’interno di quella porzione degli Stati Romani “temporaneamente occupati” da Murat il quale, l’11 gennaio del 1814, stipulava un’alleanza con l’Austria in chiave antifrancese, ottenendo il riconoscimento della sua sovranità su Napoli. Grazie al trattato, sempre in gennaio, Gioacchino risaliva il Lazio, entrava trionfalmente in Roma, passava in Umbria e si spingeva fino ad Ancona. Tuttavia, non se la sentì di attaccare i francesi né quelli asserragliati in Castel Sant’Angelo né quelli stanziati nelle città portuali di Civitavecchia e di Ancona, bensì rivolse le armi contro il vicere d’Italia Eugenio di Beauharnais, figliastro di Napoleone, rimasto fedele al patrigno, e si scontrò con lui il 7 marzo a Reggio Emilia. Era l’inizio della fine per il Regno Italico, un processo di decomposizione che si sarebbe concluso il 23 aprile quando Eugenio consegnava all’Austria tutto il territorio del Regno e si ritirava a Monaco di Baviera.

     L’accelerazione del processo era dovuta all’abdicazione di Napoleone (6 aprile), all’agitazione antifrancese in Milano e all’assassinio del conte Giuseppe Prina (20 aprile), alla volontà degli Inglesi di mantenere salda l’alleanza con l’Austria alla quale si riconobbe ufficialmente la Lombardia (12 giugno). Secondo le memorie del tempo, Foligno aveva accolto re Gioacchino con grandissimo calore il 29 gennaio del 1814 mentre passava da noi “per andare nel Regno d’Italia”, ovvero nel vivo di quella campagna a fianco dell’Austria che lo avrebbe condotto anche allo scontro con il principe Eugenio. Di ritorno da essa, Murat sarebbe passato di nuovo per Foligno il 30 di aprile andando verso Napoli. Il 12 maggio del 1814, comunque, l’ingresso in Foligno di monsignor Lodovico Gazzoli, delegato apostolico, chiudeva da noi l’età napoleonica e quella brevissima di Murat. Nessun cenno fanno le memorie folignati del tempo alla successiva epopea di Murat, scandita: dal ritorno di Napoleone in Francia e il suo rientro a Parigi tra il primo e il 20 marzo del 1815; dal proclama murattiano di Rimini del 30 marzo (“dall’Alpi allo Stretto di Sicilia odasi un grido solo: l’indipendenza d’Italia”); dalla battaglia rovinosa di Tolentino (2-3 maggio); dalla ritirata per la via di Civitanova verso il Regno; dall’armistizio di Casalanza (20 maggio); dall’esulato; dal rientro a Pizzo di Calabria (8 ottobre); epopea che si sarebbe conclusa il 13 ottobre del 1815 quando il re fu giustiziato. Trovò un’eco considerevole da noi, invece, quella che viene chiamata la Costituzione Rivoluzionaria di Napoli, ovvero il moto carbonaro capeggiato da Guglielmo Pepe nel luglio del 1820 che favorì la promulgazione di una costituzione liberale; e la reazione delle potenze europee concertata a Lubiana nel 1821, dalla quale derivava in Foligno l’ennesimo, pesantissimo passaggio di truppe sotto il comando del generale Johann M.P. Frimont. Fu questi, a Rieti ed Antrodoco, a prevalere nel marzo del 1821 sulle truppe napoletane comandate da Pepe. Da noi, si osservò: “Dopo pochi giorni si è saputa l’officiale notizia della fuga dei Napoletani, e della conquista del Regno dopo brevissima zuffa. I carbonari, che così erano chiamati i rivoltosi, parte sono fuggiti, e sono fucilati quelli che carcerati si mantengono ostinati”. L’eco di Napoli si sarebbe sentita a lungo in Foligno.    

     In tale contesto, Barugi ebbe un ruolo di primo piano che i dati di conoscenza attualmente in essere adombrano appena. Nel 1802 ne veniva proposta alle Autorità sovraordinate la nomina a consigliere comunale per il triennio 1802-1805, e, oltre ad essere immesso nella carica, diventava numerario del Numero dei Venti Consiglieri formante il Consiglio ristretto cui venivano demandate le questioni amministrative più delicate. Successivamente riconfermato consigliere, lo avremmo trovato nel 1807 commissario all’Ospedale San Giovanni Battista di via della Fiera; e, il 2 settembre del 1808, vigente ormai in Roma una Consulta Straordinaria presieduta dal generale Sextius A.F. de Miollis (dal 2/3 febbraio), Consulta che non definiva l’incorporazione all’Impero francese anche se le somigliava assai, Barugi, nella sua qualità di capo della Municipalità, rendeva omaggio a Maria Carolina regina delle Due Sicilie di passaggio da noi e in breve sosta all’Hotel della Posta. Non era più a capo del Comune il 10 giugno 1809, quando Miollis diventava Comandante supremo della Provincia dell’Umbria, segnando l’incorporazione della nostra città all’Impero. In questa fase che sarebbe durata fino al 16 aprile 1814 (di lì a non molto, come abbiamo accennato, s’insediava Gazzoli), il Nostro, il quale figura nella Liste de Cent plus fort Contribuables de la Commune de Foligno stilata nel 1811 (con un montant contributif di 1.600,06 franchi), partecipò a commissioni, fu imbussolato e poi eletto consigliere della Municipalità, fu eletto anche elettore di Circondario, concorse (1813) alla formazione della Guardia d’Onore di Napoleone, insomma, come si scriveva negli atti ufficiali, era Homme attaché au present Gouvernement e, diversamente da Mariano Casavecchia, era dotato de beaucoup de influence sur la Population. Con il passaggio dei dipartimenti del Trasimeno e del Clitunno sotto Murat, ovvero il 21 gennaio 1814, Barugi, il 22 gennaio, lasciava il suo incarico di commissario di guerra, ma poi veniva immediatamente riconfermato dalle autorità murattiane. Tra il marzo e l’aprile 1814, si formava a Foligno una Reggenza Provvisoria con quattro reggenti e otto consiglieri del Comune, tra questi Barugi; ma, per ragioni che restano da chiarire, se ne sospendevano ruolo e funzioni il 24 dicembre 1814, e, per l’immediato, sembra che non venisse reinserito. Tuttavia, e questo sarà da verificare, di lì a non molto sarebbe riemerso al massimo livello istituzionale. Senz’altro ciò era avvenuto prima del 1817. Come annota Giustiniano degli Azzi Vitelleschi in un suo saggio (Bonapartisti, massoni e carbonari nell’Umbria dopo la restaurazione pontificia (1814-1818), in “Archivio Storico del Risorgimento Umbro”, II (1906), III), un “risveglio settario s’accentuava infatti in più luoghi: a dì 27 giugno 1817 s’intese che in vari paesi s’erano affissi proclami allarmanti, massime in Foligno”; e aggiunge: “Tra i settari intanto dell’Umbria e quelli della vicina Marca pareva corressero segrete intese e la polizia credette averne in mano le fila, arrestando e processando il marchese Giuseppe Barugi, allora gonfaloniere di Foligno, perché si reputava tenesse segrete corrispondenze col conte Cesare Gallo di Osimo, domiciliato in Macerata, e che si diceva fosse alla testa del sordo fermento che nelle Marche ‘agitava dei spiriti turbolenti e faziosi’. Latore di quelle corrispondenze resultò essere un tal Cesare Giacomini di Ascoli, supposto autore degl’incendiari proclami che circa ai 20 di luglio [1817] s’eran trovati affissi in Foligno. Ma o fosse l’alta posizione sociale del Barugi od altro, il processo non ebbe seguito a di lui carico: così però, purtroppo, non fu pei generosi patrioti marchigiani, il Gallo, cioè” e qui ci fermiamo. Il Nostro rientrava sicuramente in Consiglio con decreto della Segreteria di Stato del 1823; e il 16 maggio del 1824 risultava gonfaloniere. Lo sappiamo Commissario di guerra in Foligno subito dopo la secessione proclamata il 5 febbraio 1831 dalle città settentrionali dello Stato pontificio; ma poi lo troviamo anziano (assessore) del Comune, come risultava il 21 aprile, appena esaurita (26 marzo) l’effimera ventata rivoluzionaria che aveva dato vita alle Provincie Unite Italiane. Le riforme istituzionali introdotte nello Stato Pontificio a seguito del Memorandum voluto dalle Potenze europee nel ’31, ne garantivano nel 1833 il seggio al Consiglio comunale nella quota spettante ai Consiglieri Nobili. L’assetto patrimoniale a quella data era il seguente: il valore dei beni economici era dato in 150 scudi; il valore dei beni registrato nel catastino urbano era stimato in 950 scudi (v’era incluso l’antico palazzo Canuti); il patrimonio censito nel catastino rustico era valutato 10.124,61 scudi, per un’estensione fondiaria di 83 ettari. Va considerato, tuttavia, che nel 1834 il catastino rustico di Rasiglia, ove erano censiti i beni del marchesato della Popola, segnalava come intestati a Barugi ben 163 ettari di terra, il che faceva salire l’entità della superficie fondiaria complessiva a 246 ettari. Ma non sempre la quantità si trasforma in qualità. E lì si trattava di prati-pascolo e di boschi in modo prevalente. In base alle nostre conoscenze, negli anni ’33-34, Giuseppe conservava i beni di cui disponevano il padre e gli zii quando ottenevano il titolo marchionale basato sul castello di Popola, un sito appenninico affacciato sull’Altopiano d Colfiorito (1777). Né l’Impero, né la Restaurazione avevano favorito il suo arricchimento ulteriore.