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Abbreviazioni
B(r)DSPU = “Bollettino della (regia) Deputazione di Storia Patria per l’Umbria”
BSCF = “Bollettino Storico della Città di Foligno”
DBI = Dizionario Biografico degli Italiani
IEI = Istituto dell’Enciclopedia Italiana
Baldaccini-Menichelli = F. Baldaccini, Annali Tipografici di Foligno (1547-1860), dattiloscritto nella Biblioteca Comunale “Dante Alighieri”di Foligno ora in revisione a cura di A. Menichelli
Baragetti, 2009-10 = S. Baragetti, I poeti e l’Accademia: le Rime degli Arcadi (1716-1781), tesi per il Dottorato di Ricerca, Parma, Università degli Studi, Dott. di Ric. di Italianistica e Filologia Romanza, Ciclo XXIII, relatori G. Ronchi e W. Spaggiari, a.a. 2009-2010
Bartoli-Lattanzi = N. Bartoli, B. Lattanzi, Gli stemmi delle famiglie nobili e civili di Foligno. (Nei codici di Francesco Nuti e Tommaso Nasini), in BSCF, XVII, 1993
Bettoni-Marinelli 2018 = F. Bettoni, B. Marinelli, Foligno. Storia, arte, memorie nel centro antico, Foligno, Edizioni Orfini Numeister, 2018
Bettoni-Nobili, 1997 = F. Bettoni, P. Nobili, Residenze folignati tra Sette e Ottocento, in Residenze folignati, Foligno, CaRiFo, 1997
Bettoni-Sturm = F. Bettoni, S. Sturm, Foligno barocca: i palazzi dei nobili e dei mercanti, in M. Bevilacqua, M. L. Madonna (a cura di), Residenze nobiliari. Stato pontificio e Granducato di Toscana, Roma, De Luca Editore d’Arte, 2003, pp. 281-304 (Atlante Tematico del Barocco in Italia)
Coronelli = Blasoni della Comunità e delle Famiglie Nobili di Fuligno. Delineate con ordine Alfabetico, e co’ propri colori, in V. Coronelli, Umbria, a cura di R. Lorenzetti, Foligno, Il Formichiere, 2019, p. 30; Idem, […] di Assisi […], p. 33
De Dominicis = C. De Dominicis, Amministrazione pontificia 1716-1870. Repertorio biografico, Roma, Edizione in proprio, 2017 (sul web)
Ergogeofili = F. Bettoni, Nel “Reclusorio” di Foligno: Domenico De Rossi e gli “Ergogeofili”, in BSCF, VII, 1983, pp. 155-216
Lattanzi, IV = B. Lattanzi, Storia di Foligno, IV, Roma, IBN Editore, 2001
Lattanzi, V = B. Lattanzi, Storia di Foligno, V, Roma, IBN Editore, 2002
Lattanzi-Rodante = B. Lattanzi, Voci araldiche e genealogiche, in Manoscritti inediti [intra 2006], conservati nell’Archivio Privato di Anna Maria Rodante (Foligno)
Marinelli, 2014 = B. Marinelli, L’albo d’oro. La Sala delle Armi e Alessandro Barnabò, in F. Bettoni (a cura di), I Palazzi Pubblici di Foligno, Perugia, Quattroemme, 2014
Messini = A. Messini, L’Accademia “Fulginia” e le altre associazioni culturali sorte in Foligno nella seconda metà del secolo XVIII, Foligno, Sbrozzi, 1932
Residenze = Residenze folignati, Foligno, CaRiFo, 1997
Umbrorum = B. Lattanzi, La “Respublica Litteraria Umbrorum” e i suoi soci, in BSCF, XVII, 1993, pp, 147-163
1759-1800
A B C D E F G L M N O P R S T V Z
A
Amadio abate Francesco, da Roma, uditore del cardinale Mesmer, 25 novembre 1759; per inquadrare in qualche modo l’Amadio, del quale non abbiamo al momento notizie, si consideri che Mesmer fu creato cardinale nel 1747 da Benedetto XIV, nel 1757 divenne camerlengo del Collegio dei cardinali, e sarebbe morto il 20 giugno 1760.
M. C. Giannini, Mesmer, Giovanni Battista, DBI, 73, IEI, Roma, 2009.
Aureli dom Filippo, abate olivetano, 5 gennaio 1760.
Assalti Filippo, 8 aprile 1760.
Albicini marchese da Forlì, arcidiacono, 14 settembre 1760.
Algarotti conte Francesco, da Venezia, ciambellano di S. M. il Re di Prussia, cav. Ord. Del Merito, 30 novembre 1760.
E. Bonora, Algarotti, Francesco, DBI, 2, Roma, IEI, 1960; i titoli gli erano stati conferiti nel 1746.
Alleori don Biagio, da Foligno, 17 dicembre 1761. Appartenente a casato che al 1828 risultava nel novero delle Famiglie Nobbili, di Cittadinanza, ossia secondo Ceto.
Lattanzi, V, p. 108.
Andreozzi don Pietro, da Foligno, 17 dicembre 1761.
Forse appartenente al casato patriziale di cui a C. Pietrangeli, Gli Andreozzi da Bevagna, a Foligno, a Roma, in BSCF, XIV, 1990, pp. 281-292.
Agelli padre Paolo, minore conventuale, inquisitore, Firenze, 9 maggio 1762.
Verosimilmente Agelli Paolo Antonio da Forlì, inquisitore dal 1737 al 1771, v. L. Al Sabbagh, D. Santarelli, H. H. Schwedt, D. Weber, I giudici della Fede. L’Inquisizine romana e i suoi tribunali nell’età moderna, Firenze, Edizioni Clori, 2017, p. 76.
Abondati padre Agostino ord. San Girolamo della Congregazione del Beato Pietro da Pisa, lettore di Sacra Teologia, 19 settembre 1762.
Annibali abate Antonio, da Nocera [Umbra], [Congregazione benedettina] cassinese, 19 settembre 1762.
Amaduzzi abate Gian Cristofano, professore di Lingua greca nella Sapienza di Roma, 27 gennaio 1773. In Arcadia, dal 1775, Biante Didimeo. Nonostante l’aggregazione alla nostra Accademia, pare non riservasse particolari attenzioni nei confronti di Foligno.
Citiamo, in proposito, un classico: G. Gasperoni, Settecento italiano. (Contributo alla storia della cultura), 1, L’Abate Gian Cristofano Amaduzzi (1740-1792), Padova, CEDAM, 1941; A. Fabi, Amaduzzi, Giovanni Cristofano, in DBI, 2, Roma, IEI, 1960; I. Bianchi, Elogio dell’Abate Gian Cristofano Amaduzzi, introduzione di G. Cantarutti, Rimini, Raffaelli, 2011: è la riproposizione dell’Elogio scritto dall’abate Bianchi, Pavia, Comino, 1794, con la rassegna delle Accademie cui Amaduzzi era aggregato e bibliografia d’epoca; M. Trincia Caffiero, Cultura e religione nel Settecento italiano: Gian Cristofano Amaduzzi e Scipione de’ Ricci, in “Rivista di Storia della Chiesa in Italia”, XXVIII, 1974, 1, pp. 94-126; XXX, 1976, 2, pp. 405-437; G. Cantarutti, “Amatore della verità”. Per una introduzione ai discorsi accademici di Biante Didimeo, in Idem (a cura di), I discorsi arcadici di Gian Cristofano Amaduzzi, Atti della Quinta Giornata Amaduzziana, Savignano sul Rubicone, Accademia dei Filopadriti, 2006; G. Cantarutti, Illuminismo, protestantesimo e transfert culturale fra Italia e “Germania”. Tre assi di rilevazione, in G. Cantarutti, S. Ferrari (a cura di), Illuminismo e protestantesimo, Milano, FrancoAngeli, 2010, pp. 107-129; S. Ferrari, Fantoni, Amaduzzi e il lascito italiano di Winckelmann, in Atti della Undicesima Giornata Amaduzziana, a cura di P. Delbianco, Cesena, Società Editrice “Il Ponte Vecchio”, 2015, pp. 38-44, in particolare 15-53, in particolare pp. 38-44. Sui rapporti con l’Umbria, ancora G. Gasperoni, Movimento culturale umbro nel secolo XVIII, in B(r)DSPU, XXXVII, 1940, pp. 79-80, 178-211 e passim.
Ancaiani barone Francesco, da Spoleto, 27 febbraio 1774.
Allegri padre Agostino, chierico regolare di San Paolo [barnabita], prof. d’Eloquenza, 6 dicembre 1785.
Per il contesto nel quale si muoveva, si veda il dossier barnabitico delineato da F. Bettoni, B. Marinelli, I Barnabiti “maestri di scuola” in Foligno, in F. Bettoni (a cura di), Lo spettacolare trionfo di San Carlo Borromeo nella Foligno del 1613, Foligno, Il Formichiere, 2013, pp. 228-235.
Ambrosini canonico Gio. Batta (1768-Ω post 1822), 10 giugno 1795. Il canonico apparteneva a stirpe di aromatari che aveva raggiunto il Quinto Grado Priorale con lo speziale Francesco priore del Comune nel 1619, il quale legò il suo nome a villa Paurosa (entro il 1641) ubicata nei pressi del villaggio di San Giovanni Profiamma. Gli Ambrosini avevano intrapreso la via del negozio commerciale con Giuseppe (III, 1726-97), padre del nostro canonico, dando il proprio profilo imprenditoriale a società indubbiamente prestigiose come l’accomandita, stipulata nel 1757 in società con Donato Fontana, per il Negozio Fondacale e Capitale di Pannine, Telerie e altre merci dei Fratelli Barugi (infra, la voce Barugi Girolamo), con caporete in Foligno nell’emporio degli accomandanti, due botteghe degli stessi Barugi in Farfa (Reatino), e tre botteghe in Senigallia delle quali erano proprietari i canonici della cattedrale di quella città. La società accomandataria Fontana & Ambrosini, inizialmente istituita per nove anni (in genere era questa la prassi), proseguì ben oltre il ’67. Nel 1780, contribuiva a formare la Nuova Società ed Impresa della Manifattura delle Tele ad uso di Tolmezzo nel Reclusorio Pio Pontificio per Discoli e Vagabondi fondato in città nel 1776-77: operazione dagli esiti non felici; nel 1784, rinnovava l’accomandita con i Barugi medesimi, ormai non soltanto patrizi di Foligno ma anche marchesi di Popola come apprendiamo dalla voce su Barugi marchese Girolamo sr, infra. Giuseppe (III), nel frattempo, e precisamente nel 1769, forse, senza togliergli meriti che senz’altro aveva in quanto collaudato “negoziante”, mercé l’intervento del fratello don Francesco (III) canonico della cattedrale, aveva ricevuto dal canonico camerlengo Carlo Orselli, l’incarico di redigere il piano finanziario per l’imponete restauro del duomo; piano che, presentato dal priore Giuseppe Morotti il 3 gennaio del ’70, i canonici avevano apprezzato e approvato, con questo atto avviando un processo di lavorazioni che sarebbe durato molti decenni. Processo di cui il negoziante Giuseppe avrebbe seguito almeno la prima fase, dato che nel 1775 lo troviamo nella Commissione deputata alla Fabbrica. Quanto le vicende economiche del padre interessassero il Nostro, non sappiamo. Egli, comunque, faceva il suo percorso nella gerarchia ecclesiastica locale: nell’anno 1800, risultava titolare del canonicato n. 11 nella cattedrale di San Feliciano. Prima di lui, gli Ambrosini avevano annoverato un buon numero di canonici: Giuseppe (I) vivente nel 1671; Giuseppe (II) vivente nel 1719 e il fratello Francesco (II), titolare del terzo canonicato, già morto al 1745; Francesco (III) appena menzionato, vissuto dal 1724 al 1791. Nel 1710, don Francesco II aveva benedetto la nuova chiesa della Madonna del Pianto in Foligno. Un legame particolare legava gli Ambrosini al culto di quella Madonna; Tommaso (Ω 1676), quadrisavolo del Nostro, era stato guardiano della Confraternita di San Leonardo e del Pianto, e il padre Giuseppe (III) si era segnalato con i suoi contributi erogati per l’abbellimento della chiesa e gli ornamenti destinati alla statua della Madonna. Dicevamo della carriera di don Antonio, sarà da osservare che avanzava guardandosi intorno: nel 1810, giurava fedeltà all’Impero napoleonico. Ma contraccolpi, in tempi di restaurazione, non dovrebbe averne sentiti. E chiudeva i suoi giorni, lui, figlio di Vincenza Pierantoni, nel palazzetto in via Pierantoni, che era stato dei Pierantoni; nel quale aveva soggiornato più volte il celebre loro amico Luigi Vanvitelli. Vi moriva in compagnia degli dei e degli eroi, lì dipinti da due pittori folignati, degni della migliore memoria: Giovan Battista Michelini (1604-79) e Giandomenico Mattei (1632-1701/2).
M. Faloci Pulignani, Il duomo di Foligno e l’architetto Giuseppe Piermarini. Memorie storiche, Foligno, Salvati, 1908, pp. 69-70, 84; F. Gualdi Sabatini, La “restaurazione” settecentesca del duomo di Foligno: L. Vanvitelli, G. Piermarini, F. Neri. Committenza, artisti e problemi connessi, in BSCF, VI, 1982, pp. 166 nota 50, 177, 193, 200, 201, 207, 215, 216, 217; Ergogeofili, pp. 195-196; Lattanzi, IV, p. 440. Nel saggio su Villa Paurosa a Foligno, inedito di prossima pubblicazione, F. Bettoni e B. Marinelli delineano il profilo degli Ambrosini già ben documentati dal Cinquecento. Sul palazzo Pierantoni, poi Ambrosini, si vedano: In compagnia degli dei e degli eroi. Pittura del Seicento e Settecento nei palazzi di Foligno, Foligno, CaRiFo, 1990; Bettoni-Marinelli 2018, pp. 90-91.
Antonini abate Giuseppe (Ω 1840), [Congregazione benedettina] cassinese, di Collepino [Spello], predicatore, 10 giugno 1795. Monaco giurato durante l’annessione all’Impero francese, poi, a quel che sembra, pronto a tornare sui suoi passi durante la Reggenza provvisoria post-francese, il Nostro, tra il 1810 e il 1826, avrebbe avuto una notevole visibilià accademica raggiungendo, appunto nel ’26, il Collegio dei XII Viri Academiae Fulginiae Conservandae. Oratore e non solo predicatore, si ricordano: Allocuzione del reverendissimo don Giuseppe Antonini parroco dell’Abbazia di Collepino Circondario di Fuligno al popolo della sua cura per togliere le opinioni erronee, ed i scandali insorti in occasione del giuramento. Fuligno 30 giugno 1810. Fuligno, per Feliciano Campitelli, 30 giugno 1810 (28pp.); e di lì a poco, il 15 agosto 1810 festa di san Napoleone, un discorso che allora si ritenne memorabile ma di cui non resta alcun esemplare a stampa. Altrettanto memorabile dovette essere sentita la recitazione di un testo poetico che inizia Mentre io da Flora reduce, stanco dal mio cammino: tenuta nel 1830, essa si svolse durante la solenne adunanza accademica indetta per inaugurare un piccolo monumento a Giuseppe Piermarini che tuttora si trova nel palazzo Trinci. Fu oggetto di poetici serti: Gli amici ammiratori dell’eloquenza del reverendissimo Signore D. Giuseppe Antonini Abate di Collepino che con universale applauso predica l’Avvento in Fuligno sua patria l’anno 1817 OO.DD.CC., al medesimo il presente serto poetico. In Fuligno, Nella Stamperia di Francesco Fofi,[1817]; otto sonetti dei Fulginei: Giuseppe Mancia, Giovanni Rossi, Giuseppe Filippini, Francesco Pizzoni, don Antonio Bernardini.
Messini, pp. 46, 49, 50, 52; Lattanzi, IV, p. 305; L. Sensi, L’abate Antonini. L’architetto Piermarini e la chiesa di Collepino, in BSCF, XX-XXI, 1996-1997, pp. 873-876; Baldaccini-Menichelli, ad vocem.
Amori marchese da Perugia, senza altre indicazioni.
B
Bucciari canonico Antonio, appartenente a casato di ceto civile, Quinto Grado Priorale; rettore del seminario vescovile di Foligno, tra il 12 e il 23 agosto 1759 partecipava alla fondazione della Fulginia, entrava nel Collegio dei XII Viri Academiae Fulginiae Conservandae, si veda in questo sito la sezione Storia 1-Fondatori.
Barnabò ab. Alessandro, da Foligno (1715-79), aggregato 23 agosto 1759. Il primo giugno 1760 avrebbe fondato l’Accademia Letteraria degli Umbri. Ammesso che sia possibile farlo, le ragioni di questa scelta che in verità sembrano frutto di un conflitto con la Fulginia, non sono state indagate. Barnabò apparteneva al ramo gentilizio di Piermarino di Alessandro; nel 1751 aveva acquistato per sé e i fratelli il titolo di marchese del Palombaro, collegato ad una bella “tenuta” fondiaria (60 ettari ca) nella piana meridionale di Foligno. Assai erudito nell’araldica (in merito, il suo lascito documentale è oggi particolarmente valorizzato dalla professoressa Anna Maria Rodante nostra accademica che ha in corso d’opera una sistematica indagine sull’araldica di ambito folignate) e nella numismatica, svolse anche eminenti funzioni pubbliche. Il 7 marzo 2019, essendo quell’anno il 250° dalla morte del Nostro, il Magistero della Fulginia, su proposta della Rodante appena citata, ha dato il via ad un percorso di ricerca dal titolo “Cultura e culture nel Settecento di Alessandro Barnabò (1715-1779)”, ampiamente documentato in questo sito.
B. Lattanzi, La famiglia Barnabò, in BSCF, V, 1981, p. 200 e 211 (albero); Marinelli, 2014, pp. 315-322;sul Palombaro Barnabò, F. Bettoni, B. Marinelli, La “Description de la ville de Foligni”: città e ceto nobile tra Sei e Settecento, in BSCF, XIII, 1989, pp.333-335; sul palazzo in città e sulla divisa araldica: G. Metelli, Palazzo Monaldi […] Barnabò, in Residenze; F. Bettoni, B. Marinelli, Foligno. Itinerari dentro e fuori le mura, Foligno, Edizioni Orfini Numeister, 2001, p. 160; Bettoni-Sturm, n. 49; L. Piermarini, Foligno: città e palazzi tra Cinque e Seicento, in BDSPU, CXI/II, 2014; Bettoni-Marinelli, 2018, p. 144; Bartoli-Lattanzi, p. 134; Coronelli, p. 30; Marinelli, 2014, pp. 320, 321, n. 19; Baldaccini-Menichelli, ad vocem; Lattanzi-Rodante, ad vocem. Per un primo approccio all’Accademia da lui fondata, G. Bragazzi, Compendio della storia di Fuligno, Fuligno, Tomassini, 1859, pp. 127-129, con pubblicazione delle Leggi accademiche del 1760; queste erano state originariamente pubblicate negli Acta Reip. Litterariae Umbrorum, stampati nel 1762; per l’elenco degli accademici, si veda Umbrorum.
Barnabò canonico Vincenzo (notizie 1746-74), da Foligno, abate a Roma, 23 agosto 1759. Figlio di Luigi di Pietro di Vincenzo (VI), ramo gentilizio e patriziale risalente, secondo l’albero ricostruito da Lattanzi, a Vincenzo (I) vivente nel 1508, la sua famiglia risiedeva in piazza Grande (oggi della Repubblica), nella parte sommitale del cosiddetto Palazzetto del Podestà, e questo le dava un segno di particolare distinzione. Il capo pro-tempore di questo ramo era gratificato del titolo di gentiluomo. Su Vincenzo si hanno notizie dal 1746, quando discuteva la propria tesi filosofica nel Collegio folignate di San Carlo, retto dai Bernabiti: Selectae propositiones phisico-metaphisicae quas Illustriss., et Reverendiss. Domino Mario Maffeo Fulginatum Pastori praestantissimo, Episcopo Solio pontificio assistenti, in obsequentissimi animi argumentum, Vincentius Barnabò Patritius fulginas apud Clericos Regulares S. Paullii, vulgo Barnabitas, sub Institutione P.D. Jani Paullii Sassi Philosophiae, ac Metheseos Auditor. Fulginiae, ex Typographia Campitellorum Impress. Episc., 1746. Un decennio dopo, nel 1755, entrava a far parte del Consiglio generale di Foligno, cui si accedeva per antico titolo patriziale, come nel suo caso, o dopo un percorso estenuante di promozione sociale. Appena fondata la Repubbica Letteraria degli Umbri (1761) vi era stato aggregato. Negli anni 1770-74, risultava cameriere segreto di Clemente XIV, e canonico di San Lorenzo in Damaso. Alla sua morte, l’accasamento al cosiddetto palazzetto del Podestà passava ai figli di Pietro Barnabò fratello di Alessandro di cui alla voce precedente.
B. Lattanzi, La famiglia Barnabò, in BSCF, V, 1981, p. 201 e 210 (albero); F. Bettoni, B. Marinelli, Un documento per la storia sociale ed economica di Foligno: la “Nota delli fuochi et anime” del 1644, in BSCF, XXIII-XXIV, 1999-2000, p. 43, n. 167; De Dominicis, ad vocem; Baldaccini-Menichelli, ad vocem; Umbrorum, p. 150. Per la divisa araldica: Bartoli-Lattanzi, p. 134; Coronelli, p. 30; Marinelli, 2014, pp. 320, 321, n. 19; sulla residenza Bettoni-Nobili, n. 20; F. Bettoni, P. Tedeschi, Poteri e palazzi tra Quattrocento e Ottocento, in F. Bettoni (a cura di), I Palazzi Pubblici di Foligno, Foligno, Quattroemme, 2014, p. 117 e nota 176.
Barugi Girolamo (1724-89), Foligno, 23 agosto 1759. Segnalato come Girolamo IV nella genealogia elaborata da B. Lattanzi, era figlio di Giuseppe (II) e padre di Giuseppe (V, infra). Appartenente a casato di ceto civile assurto al grado patriziale di Consiglio nel 1728 (Giuseppe II); sarebbe entrato nel Consiglio comunale a vita dal 1775. Insieme ai fratelli Antonio e Domenico nel 1777 avrebbe acquistato il titolo di marchese della Popola, frazione montana del Folignate. Pastore arcade (Orsildo Cidario), la colonia Fulginia aveva preso piede il 16 dicembre 1717 durante il custodiato di Crescimbeni, se ne conosce l’attività poetica dal 1752 al 1785. A quest’ultima data, Girolamo si certificava patrizio folignate, pastore Arcade, accademico Etrusco, accademico Quirito; chiudeva l’elencazione con un Abb. che non sapremmo sciogliere in altro modo se non con Abbate; con ciò tralasciando la qualifica di accademico Fulginio (non lo era più?), e quella di accademico degli Ergogeofili in Foligno aggregazione appena acquisita nel 1784 all’atto della fondazione. Di particolare interesse ci pare, altresì, l’accennata appartenenza Quirita, ma non sapremmo dire se accompagnarsi alla corrente di Gian Vincenzo Gravina (promotore nel 1714 di una significativa separazione dall’Arcadia del Crescimbeni) avesse avuto un significato reale. Per rimanere a questo medesimo ’85, ricorderemo subito una delle tre pubblicazioni a sua firma esclusiva che Girolamo mandò in stampa nel corso della vita: ci riferiamo prima di tutto alla canzone e al sonetto dedicati All’eminentissimo e reverendissimo Principe il signor Cardinale Vincenzo Ranuzzi de’ Conti della Poretta Quaranta bolognese ec.ec. già Nunzio Appostolico in Venezia indi in Lisbona ed ora Vescovo in Ancona per la gloriosa esaltazione alla sacra porpora il Marchese Girolamo Barugi Patrizio Fulignate Past. Arc. Acc. Etr. Quir. ed Abb. umilmente applaudendo. In Fuligno; Per Feliciano Campitelli Stamp. Pubb.,[1785]. Quanto alle altre due, entrambe risalivano a molti anni addietro. In una, del 1754, plaudiva “al merito” del canonico e conte don Giuseppe Maria Rottigni di Trescore il quale, celebre oratore sacro, durante la Quaresima di quell’anno aveva tenuto la predicazione nel duomo di Foligno ed era morto il 7 settembre del medesimo ’54; in un’altra, del 1762, s’era trattato di un’odein trentadue quartine che il Nostro aveva composto Per le felicissime nozze del nobil uomo signor marchese Giustiniano dei Vitelleschi colla nobil donna signora Laura Benedetti Ode di Girolamo Barugi P. A., ed Acc. Fulginio. In Fuligno, Presso Feliciano, e Filippo Campitelli Stampatori Vescovili, 1762.
In base a ciò che abbiamo potuto verificare, come poeta, lo si è accennato in precedenza, aveva esordito nel 1752; ed esordì con i Componimenti poetici dedicati a Sua Altezza Reale Eminentissima il Signor Cardinale Duca di York dai fratelli Barugi in occasione, che prende l’abito religioso del P. S. Agostino nel Monastero di S. Elisabetta di questa città di Foligno Antilia Barugi loro sorella assumendo i nomi di Maria Aurelia. In Foligno, nella nuova Stamperia di Francesco Fofi e Compagno. Un omaggio alla sorella appena diciottenne (1734), di gran portata per l’entità dei testi ivi raccolti: 19 sonetti, 4 odi, due carmi latini; per il prestigio, in alcuni casi assoluto degli autori, in gran parte Arcadi: Salvatore Corticelli, i fratelli Zanotti Francesco Maria e Giampietro (rispettivamente Orito Piliaco e Trisalgo Larisseate), Leonardo Giordani (Crispino Dardanio), Giacomo Marulli, Domenico Monti, Gregorio Casali Bentivoglio Paleotti (Aminta Orciano), Girolamo Zocca, Carlo Francesco Vago, Mauro Rusca, Giacomo Cemmi (Amildo Cilleneo), Giampaolo Sassi, Marco Alessandro Comoto, i folignati Donato Fontana, il nostro Girolamo, e Filippo Betori Berardi (infra), nonché un arcade non meglio identificato, Prasimbo Dulichiense. Omaggio prestigioso anche per la qualità delle versificazioni, in taluni casi assai elevata, senz’altro in linea con i livelli qualitativi altrove espressi; e, ovviamente, prestigioso per la rilevanza del dedicatario, lo York, anch’egli un arcade (Tamisio). Che cosa significasse tale dedica forse si potrà apprendere da ricerche specifiche. Fu un gesto di formale deferenza, sicuramente condivisa dall’augusto e singolare personaggio? Tendeva a condurre i Barugi nel circuito della “clientela” ducal-cardinalizia del ventisettenne York (cardinale dal 1747, poi ordinato sacerdote dal ’48), qualora non vi fossero già interni? (Si sa, tuttavia, che York transitò per Foligno soltanto nel 1763.) Rientrava in un legame diretto? Era frutto di un legame mediato? Il tramite del collegamento andava ricercato tra gli eminenti personaggi appena elencati? Magari tra i Barnabiti, ben cinque nel gruppo? In effetti, Corticelli, Rusca, Zocca, Vago e Sassi, tranne Vago forse, almeno a prima vista, erano certamente conosciuti dai tre folignati presenti nell’omaggio poetico, ovvero Barugi, Betori, Fontana per una ragione semplice, erano vissuti nella famiglia religiosa del Collegio San Carlo (nell’odierna via Saffi); se nutriamo qualche incertezza sulla eventuale frequentazione folignate di Vago, dobbiamo tuttavia rilevare che nel 1759, il barnabita lodigiano (a suo tempo maestro di teologia del Parini alle Scuole di Sant’Alessandro in Milano) sarebbe stato presente tra i letterati degli Applausi poetici ai felicissimi sponsali dell’illustrissimo sig. marchese Lorenzo Niccolini con l’illustrissima signora marchesa Giulia Riccardi (Firenze, Bonducci); tra gli autori plaudenti, anche il marchese Antonio Niccolini, zio ex-patre dello sposo, proprietario della grande tenuta di Casevecchie ai Paduli di Foligno; peraltro essendo Lorenzo l’erede designato del celebre zio al quale sarebbe subentrato anche nella titolarità dei beni folignati. Corticelli e Rusca, entro il 1735, avevano insegnato nel nostro Ginnasio pubblico istituito appunto nel Collegio barnabitico; Rusca, nei suoi versi alludente al blasone dei Barugi, era da considerare assai autorevole sul piano culturale: proprio nel ’52 stava lavorando alla seconda edizione di un classico della spiritualità barnabitica, La verità scoperta al Christiano di Bartolomeo Canale, opera uscita postuma nel 1694, che avrebbe visto nuova luce nel 1755 (in ben 4 tt.). Corticelli era da considerare un astro di prima grandezza della tradizione purista, per le Regole ed osservazioni della lingua toscana, pubblicate in Bologna nel 1745, di cui sarebbe uscita una seconda edizione nel 1754; parliamo del Corticelli il quale, nel ’47, era salito alla Crusca. Quanto a Rusca, i legami con la Dotta erano tanto profondi e sarebbero stati tanto duraturi da potersi esibire in celebrazioni letterarie come quella che si realizzò per l’ascrizione senatoria di Gaspare Malvezzi, cui dedicò il componimento titolato Gasparo, un lungo “capitolo” (forma metrica a ternarî incatenati) di osannante grazia. La Bologna dei Corticelli e dei Rusca, era la città dei fratelli Zanotti, personaggi di rilievo assoluto; di Casali, intrinseco al minore dei due, Francesco Maria, per legami ideali e orientamenti culturali; il Casali autore, per non dire d’altro, dell’Atteone, una fortunata favola boschereccia data alle stampe nel 1744, dalla San Tommaso d’Aquino. Lì stava il pugliese Giacomo Marulli da Barletta, carico di titoli nobiliari, il quale nel 1751 era appena diventato senatore della città Felsinea; da ricordare, Marulli, non foss’altro per una celebre, tarda (1793) operetta Sulla cultura del ravizzone nel Bolognese dal di cui seme ricavasi l’olio, a dimostrazione del fatto che essere “letterati” poteva anche significare molto di più che l’esser poeti. Una polarità bolognese dunque è quella che sembra potersi ravvisare; a mediazione barnabitica, parrebbe; il che non spiegherebbe il perché di quella dedica a York dalla cui vicenda personale non traspaiono propensioni nei confronti dei Chierici Paoliti. Senonché, il principe-cardinale era stato educato sulle sponde del Reno. Peraltro, alla Bologna intellettuale del tempo, in particolare arcadica, si potrebbero ricondurre anche la canzone e il sonetto che Barugi avrebbe composto nel 1785 per il cardinalato di Ranuzzi che abbiamo ricordato di sopra: poiché Ranuzzi apparteneva ad eminente casato bolognese di ceto senatorio. In questo contesto, i soli romani in senso stretto furono Cemmi e Giordani (di Comito non sappiamo alcunché), i quali facevano parlare di sé almeno dagli anni Quaranta. Cemmi, nel 1744, aveva scritto per i Componimenti degli Arcadi nella morte di Filocida Luciniano, ovvero del custode generale Francesco Maria Lorenzini (1728-43) deceduto l’anno prima. Nel 1748, il primo di agosto, i medesimi Cemmi e Giordani, avevano partecitato alla poetica Adunanza tenuta nel Bosco Parrasio per l’acclamazione seguìta in Arcadia dei sovrani delle Due Sicilie (Carlo e Amalia). Infine, saremmo tentati di collegare al “clima” culturale bolognese il contesto d’encomio nel quale si muoveva il nostro Girolamo il quale nel 1763 appariva negli Applausi poetici per il felicissimo ingresso fatto in Perugia da Mons. Filippo Amadei. Tra gli autori, oltre al Barugi, troviamo Gaetano Fattorini e Girolamo Desideri (Ecamede), i quali, nel 1746, avevano contribuito alle Rime per le felicissime nozze dei bolognesi Vincenzo Guidotti e Francesca Todeschi (Bologna, Della Volpe). Lo ripetiamo: è una tentazione, nulla di più.
In questo intreccio di climi e contesti, lo scenario romano si appalesava nitido nel 1754, quando una monacazione in Foligno “catapultava” (sia pur virtualmente) il nostro Barugi nella cultura letteraria della Dominante pontificia. Stiamo per parlare della raccolta titolata Prendendo il sacro abito del primo istituto di S. Chiara la nobil signora Olimpia Cantagalli patrizia di Foligno nel Monastero di S. Lucia di detta città col nome di suor Maria Aloisia Costante del Santissimo Sagramento componimenti poetici dedicati all’eminentissimo, e reverendissimo principe il signor cardinale Nerio Corsini protettore delli regni di Portogallo, e d’Irlanda, arciprete della Basilica Lateranense, ec.,ec.,ec.. (Foligno, Campitelli). La dedica al porporato è firmata dal padre della monacanda Filippo Cantagalli. Il volumetto contiene 23 tra odi e sonetti; gli autori che si dichiarano espressamente sono Gioacchino Pizzi, Giuseppe Petrosellini, Alessandro Amorosetti, Gian Bernardo Vanstreip (Van Stryp), Giovanni Giacomo Monti, tutti di ambiente romano, nonché, insieme al nostro Girolamo, i folignati Donato Fontana e Giambattista Maffetti (quest’ultimo a quanto ci consta ebbe qui la sua unica apparizione letteraria). Dicevamo del cambio di scena. Il primo dell’elenco, Pizzi, allorché versificò per la Cantagalli aveva già una sua notorietà nei circoli romani essendo segretario di Alessandro Albani (1692-1769), cardinale dal 1747 (nonché mèntore da noi degli Agitati che s’erano attivati sin dal 1720-21, trovando in don Bucciari il proprio animatore principale); e in quello stesso ’47 poetando tra le Rime degli Arcadi. Tomo Decimo, volume uscito in Roma per i tipi di De Rossi. E forse qualche folignate sapeva che proprio nel carnevale del ’54 era andato in scena all’Argentina di Roma l’Eumene, dramma per musica su libretto di Pizzi del musicista Antonio Aurisicchio (1710-81), napoletano fattosi romano. Pizzi (1716-90) sarebbe diventato custode generale d’Arcadia (Nivildo Amarinzio) sullo scorcio del Settecento (1772-90). La vicenda arcadica del personaggio fu assai intensa, come oggi si può evincere dalla sistematica indagine di Stefania Baragetti sulle Rime degli Arcadi (1716-81); pur non potendo entrare nei dettagli, un cenno almeno vogliam farlo sul ruolo che Pizzi svolse nel 1757 per l’aggregazione in Arcadia della celebre madame Anne Marie Le Page Fiquet du Boccage (Doriclea Parteniate). Quanto a Giuseppe Petrosellini (Enisildo Prosindio), un cornetano trasmigrato nella capitale pontificia, ben noto e prolifico librettista anch’egli, aveva poetato all’Adunanza tenuta nel Bosco Parrasio per l’acclamazione seguìta in Arcadia dei sovrani delle Due Sicilie (Carlo e Amalia). Altrettanto aveva fatto Vanstreip/Van Stryp nell’acclamante Adunanza parrasia; peraltro, di quest’ultimo si sarebbe letta la firma in calce ad un bando pubblico del 1767 emanato dalla Tesoreria Generale dello Stato della quale era segretario, ma null’altro sappiamo della carriera funzionale del belga. Un piccolo raggio di luce avrebbe rischiarato più avanti nel tempo l’identità poetica di Giovanni Giacomo Monti (Ermildo Isauride), segretario di Baldassarre Odescalchi (Pelide Lidio, in Arcadia dal ’69) duca di Ceri, del quale si sarebbe letto un sonetto tra le Rime degli Arcadi. Tomo Decimo Quarto, stampate in Roma nel 1781, per i tipi di Giunchi. Da ultimo notiamo che il profilo di Amorosetti resta, almeno per noi sfuggente; non restano, invece, nell’ombra quelli della giovane Olimpia/Aloisia Cantagalli e del padre Filippo. In quel momento Filippo era cavaliere di giustizia del Sovrano Militare Ordine di Malta e condivideva il titolo con il fratello Francesco Giuseppe, canonico; insieme agli altri tre fratelli, Francesco (consigliere dal 1727), Cosimo e Feliciano (entrambi consiglieri dal 1757), erano proprietari dal 1745 di una “tenuta o possessione cospicua”, posta al vocabolo la Fossa Renosa o Ponte delle Tavole, nei territori di Foligno e Bevagna, nei pressi del villaggio che tuttora si denomina Cantagalli. Il fondo, unitario, si estendeva per 33 ettari, gli si assegnava un valore di circa 12 mila scudi con una rendita di 400 scudi all’anno. Un chirografo di Benedetto XIV del 6 aprile 1757 avrebbe eretto la possessione a contea, con il privilegio di fiera. La monacazione di Olimpia/Aloisia si poneva dunque in una fase di passaggio nelle fortune dei Cantagalli; casato che nel ramo del cavaliere Filippo e degli altri Cantagalli prima segnalati vantava ascendenze patriziali già in essere al 1472 quando era certificata l’avvenuta ascrizione all’Ordine del Priorato folignate. Olimpia/Aloisia, dal canto suo, sarebbe diventata abbadessa del monastero clariano di Santa Lucia (della Prima Regola, quella osservante del lascito spirituale e ordinamentale di Chiara d’Assisi) nel quale, come s’è veduto di sopra, era entrata nel 1754. Questa funzione stava svolgendo nel giugno del 1800 quando, in coincidenza con il rientro a Roma del papa Pio VII appena eletto nel conclave di Venezia, si premurò a che i sovrani savoiardi Carlo Emanuele IV e la moglie Maria Clotilde di Borbone fossero degnamente ospitati in palazzo Vitelleschi, del quale al momento erano proprietari il marchese e cavaliere gerosolimitano Traiano e la moglie Palmira Cantagalli, nipote dell’abbadessa; Palmira, infatti era fglia di Vincenzo (infra, alla voce Cantagalli conte Vincenzo), cugino in primo grado della religiosa in quanto figlio di Francesco, il quale, essendo morto nel 1751, non era stato menzionato nel chirografo papale con il quale la tenuta di famiglia veniva eretta in contea (1757). L’ospitalità riservata ai sovrani fu immortalata mediante un’iscrizione appósta sulla fronte del palazzo Vitelleschi (oggi in via Antonio Gramsci, 54):
Sui Barugi: Ergogeofili, pp. 155-216; G. Metelli, Il regime oligarchico di Foligno dall’ascesa alla decadenza, in BSCF, XIII, 1989, p. 294, nota 25; B. Lattanzi, I Barugi, il loro vescovo, il loro palazzo, in BSCF, XIX, 1995, pp. 331-372; F. Bettoni, Palazzo Canuti […], in Residenze; Idem, Liborio Coccetti nel palazzo Canuti […], ivi; F. Bettoni, M. R. Picuti, La montagna di Foligno. Itinerari tra Flaminia e Lauretana, Foligno, Edizioni Orfini Numeister, 2007, pp. 290-294; Baldaccini-Menichelli, ad vocem; Lattanzi-Rodante, ad vocem. Sui Cantagalli: M. Faloci Pulignani, Lettere di Maria Clotilde, regina di Sardegna alle monache cappuccine di S. Lucia di Foligno, Foligno, Campitelli, 1886; B. Lattanzi, Cavalieri folignati, in BSCF, VIII, 1984, p. 416; Bartoli-Lattanzi, p. 134; B. Lattanzi, La nobiltà folignate, in BSCF, XI, 1987, p. 147, l’anno 1473 va modificato in 1472; A. E. Scandella osc., G. Boccali ofm. (a cura di), Ricordanze del monastero di S. Lucia osc. In Foligno […], Assisi, Edizioni Porziuncola, 1987, p. 269, n. 421; F. Bettoni, B. Marinelli, La “Description de la ville de Foligni”: città e ceto nobile tra Sei e Settecento, in BSCF, XIII, 1989, pp. 339-340, 346-347, 354; B. Lattanzi, Storia di Foligno, III/II, Roma, IBN Editore, 2000, p. 143; R. Tavazzi, I monasteri femminili a Foligno (sec. XIII-XVII), in BSCF, XXIX-XXX, 2005-2006 [ma 2008], pp. 47-48; Idem, Per le campagne amene. Itinerari cicloturistici nella pianura di Foligno, Spello-Foligno, Dimensione Grafica Editrice, 2011, pp. 102-103; Coronelli, p. 30; Marinelli, 2014, n. 47, pp. 320, 321; Lattanzi-Rodante, ad vocem. Sui Niccolini: In lode dell’abate Antonio Niccolini Patrizio Fiorentino e Fulignate de’ Marchesi di Ponsacco Camugliano ec.ec. Orazion funerale detta nell’Accademia Fulginia il dì 2. giugno MDCCLXXI. da Antonio Prosperi Frate Minore Conventuale e dal Collegio de’ XII. fatta pubblica. Fuligno: Presso i Campitelli Stampat. Vescov., ed Accad., [1771]; In morte del nobil uomo Lorenzo Niccolini patrizio fiorentino ferrarese e fulignate Marchese di Ponsacco e Camugliano ec. ec. Ciamberlano di S.M. Imperiale e di S.A.R. il Gran Duca di Toscana e Cavaliere dell’insigne Ordine di Santo Stefano P. e M. ec. Orazione detta per l’Accademia Fulginia delli 2. Luglio 1795. nella sala del Pubblico Palazzo da Antonio Prosperi frate Minore conventuale e dal Collegio de’ XII. fatta pubblica. Fuligno: Presso i Campitelli Stamp. Vescov., e Pubbl., [1795]; F. Bettoni, Per la storia di un’azienda agraria nell’area di bonifica della Valle Umbra: la tenuta Niccolini ai Paduli di Foligno, in BSCF, VIII, 1984, pp. 315-351; Tavazzi, Per le campagne, pp. 99-100, 103, 104-105; Marinelli, nn. 160 e 161, pp. 320, 322. Sull’Arcadia abbiamo utilizzato quale studio di riferimento: Baragetti, 2009-10; nonché: M. Pigozzi, E. R. Restani (a cura di), Nuptialia: i libretti per nozze della Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, Bologna, Clueb, 2009; a proposito della Dotta, M. Saccenti (a cura di), La Colonia Renia. Profilo documentario e critico dell’Arcadia bolognese, 2 voll. Modena, Mucchi, 1988; quanto al “polo” romano neglia anni della prima fioritura di Pizzi, A. Avallone, Jommelli e la committenza romana; nonché L. Tufano, Anfione e Nivido. Nota sui rapporti di Niccolò Jommelli con l’arcade Gioacchino Pizzi, in G. Bocchino, C. Nicolò (a cura di), Jommelliana. Un operista sulla scena capitolina. Studi sul periodo romano di Niccolò Jommelli, Roma, Libreria Musicale Italiana, 2017. Sui Barnabiti abbiamo utilizzato le schede bio-bibliografiche a suo tempo elaborate da F. Bettoni, B. Marinelli, I Barnabiti “maestri di scuola” in Foligno, in F. Bettoni (a cura di), Lo spettacolare “trionfo” di san Carlo Borromeo nella Foligno del 1613, Foligno, Il Formichiere, 2013, pp. 217-274. Riferimenti prosopografici: sul romano F. Amadei (1721-75) vescovo di Perugia (1762-75), Notizie per l’anno 1763, Roma, Chracas, 1763, p. 210; Hierarchia Catholica Medii Aevi, 6 (1730-99), Patavii, Il Messaggero di Sant’Antonio, 1958; Notizie della vita e degli scritti di Francesco Maria Zanotti. Raccolte e pubblicate da Giovanni Fantuzzi, Bologna, Stamperia di S. Tommaso d’Aquino, 1778, www.bo.astro.it; sul bergamasco G. M. Rottigni, si veda G. Suardi, Memorie istoriche intorno a Trescore ed alla sua chiesa, Bergamo, Crescini, 1839; Idem, Trescore. Carme, Bergamo, Mazzoleni, 1846; inoltre: T. M. Abbiati, Il P. Carlo Francesco Vago lodigiano, accademico dei Trasformati, Lodi, Borini Abbiati, 1927, estratto dallo “Archivio Storico Lodigiano”; A. Foratti, Giampietro Zanotti e la sua critica d’Arte, in “Atti e Memorie della Regia Deputazione di Storia patria per l’Emilia e la Romagna”, I, 1935-1936, pp. 115-129; D. Di Palma, Aurisicchio, Antonio, in DBI, 4, Roma, IEI, 1962; R. Negri, Casali Bentivoglio Paleotti, Gregorio Filippo Maria, in DBI, 21, Roma, IEI, 1978; M. Caffiero, Corsini, Neri, in DBI, 29, Roma, IEI, 1983; S. Magnani, Corticelli, Salvatore, in DBI, 29, Roma, IEI, 1983; A. Nacinovich, Pizzi, Gioacchino, in DBI, 84, Roma, IEI, 2015; M. T. Fattori, Ranuzzi, Vincenzo Gaspare, in DBI, 86, Roma, IEI, 2016; Nobili Napoletani. Famiglia Marulli. Memorie storiche di Casa Marulli, www.nobili-napoletani.it (letto il 10 maggio 2020); su madame du Boccage, vedere Baragetti, 2009-10, passim. Il duca-cardinale York (peraltro autoproclamatosi re d’Inghilterra con il nome di Enrico IX, dopo la morte del pretendente, il fratello Charles, nel 1788) richiederebbe una trattazione bio-bibliografica molto più ampia di quanto non si possa fare in questa sede; pertanto ci limitiamo a segnalare alcune date chiave della sua vita: nascita, Roma, 1725; cardinale, 1747; ordinato prete, 1748; consacrato vescovo, 1758; vescovo di Frascati, 1761; decano del sacro Collegio e vescovo di Ostia e Velletri, 1803; Ω 1807. Si suggerisce ancora nelle bibliografie la lettura di P. Bindelli, Enrico Stuart cardinale duca di York, Frascati, Associazione “Amici di Frascati”, 1982; si vedano inoltre: M. J. Cryan, Travels to Tuscany and Norhtern Lazio. With illustrations by Justin Bradshaw, Vetralla, Davide Ghaleb Editore, 2004 (Collana “Etruria Editions”), ove si segnala il passaggio per Foligno nel 1763; (stante il monumento murale installato nella sala del Consiglio comunale di Vetralla, la Cryan, irlandese d’origine e vetrallese d’adozione, ha cominciato ad interessarsi allo York da tempo, in proposito si veda il suo breve articolo Re e cardinali inglesi a Vetralla, in “Studi Vetrallesi”, 4, 1999, pp. 14-15); M. Buonocore, G. Cappelli (a cura di), La Biblioteca del Cardinale. Enrico Benedetto Stuart duca di York a Frascati (1761-1803), Roma, Gangemi, 2008, il profilo intellettuale del cardinale ne esce a tutto tondo; T. De Juliis, A duecento anni dalla morte del cardinale duca di York (1807-2007), [Frascati,] Diocesi di Frascati, 2007; G. Grande, In carrozza con il cardinale duca Enrico Stuart. I suoi luoghi, il suo tempo, Montecompatri, Controluce, 2013.
STEMMA BARUGI
Questa la versione del Blasone Barugi secondo il poeta barnabita Mauro Rusca:
Ecco Antilia. Ella è pur dessa
ecco ha in man spica dorata
qua recata
a indicar sua Schiatta istessa.
Qui trovò il ceruleo campo
e le lucide sue stelle
ed amò di star con elle.
Betori Berardi abate Filippo (1698-post 1762), da Foligno, professore di Eloquenza nel seminario di Spello, 23 agosto 1759. Pastore arcade (Migilio o Migilo, Alessionica/o) era stato membro dell’Accademia degli Agitati (Agitatorum Civitatis Fulginiae Coetus, v. la voce Antonio Bucciari, nella sezione del sito dedicata ai XII Viri Accademiae Fulginiae Conservandae). Come Agitato, partecipò ad alcune raccolte poetiche: per la monacazione di Angela Teresa Badisson nel monastero delle clarisse urbaniste di Santa Caterina (1723), monacanda della cerchia della signora Francesca Bourbon del Monte, moglie di Piermarino Barnabò e madre di Alessandro abate e marchese (v. supra); la monacazione (1727) di Cecilia Cristalli, una popolana che doveva risiedere dalle parti della piazza del Grano, ma una protetta della signora Ersilia Foschi Bolognini, andante ai voti nel monastero agostiniano della Croce con il corteggio delle figlie dello stampatore Campana: Maria, Teresa e Rosa; la monacazione (1728) in Santa Caterina di Alessandra Lepri, figlia di Giuseppe un eminente Agitato. Non dichiarava la propria filiazione Agitata, pur mantenendola verosimilmente, nel 1752 anno nel quale rendeva omaggio alla monacanda Antilia Barugi, sorella del patrizio Girolamo (si veda supra, ad vocem) la quale andava a farsi monica tra le agostiniane di Santa Elisaberra. Era dichiaratamente Agitato agli sponsali nel 1723 del patrizio Carlo di Francesco Silvestri, al momento priore novello del Comune (dal 1708) di lì a cinque anni consigliere (1728), il quale convolava con Maria Rosa degli Onofri, donzella di altissimo (e antichissimo) lignaggio patriziale. Poesie per nozze ne avrebbe scritte ancora. Nel 1732 lo troviamo nella raccolta per il matrimonio di Carlo Elisei con Chiara Veronica Tommasi, nobile di Cortona in Toscana; trent’anni dopo, nel 1762 scriveva il suo componimento per il matrimonio di Pietro Barnabò, fratello dell’abate marchese Alessandro (di cui supra, ad vocem), con la nobilissima Anna Valenza Azzolini di Fermo. Va notato che nel ’32 era stato proprio il Nostro a firmare la dedica della raccolta al marchese Onofrio Elisei, zio del nubendo Carlo figlio di Evandro, e che, tra i letterati presenti nella pubblicazione vi era il poeta Giovanni Battista Cotta (Estrio Cauntino). Era quello il periodo nel quale i Rinvigoriti folignati, o meglio, Giustiniano Pagliarini, principe di quel sodalizio agli albori nel 1707, si stava impegnando intorno al Cotta e all’edizione di Dio. Inni con Annotazioni il vasto componimento che l’accoppiata editoriale Pagliarini-Campana avrebbe messo ai torchi nel successivo 1733. E della ben nota Elisea, fonda caverna, oscura avrebbe cantato negli Inni, a menzionare, appunto, le grotte del Sasso di Pale soggiacenti al palazzo dei marchesi Elisei che tanta meraviglia andavano destando. Quanto all’evento Barnabò-Azzolini del ’62, che vide operosa la stamperia Fofi, basta fare un giro su Google per coglierne tuttora l’eco. Segnaliamo, tuttavia, un elemento notabile collegato all’episodio nuziale. Sempre Arcade, già Agitato, il Nostro figura con un sonetto nella raccolta inneggiante a Le nozze di Clori pastorella del Timia e di Tirsi, pastore del Velino uscita sotto l’egida dell’Accademia Letteraria degli Umbri appena fondata (1761) dal già menzionato Alessandro Barnabò, fratello di Pietro, il Tirsi pastore velinate convolante a nozze. E con la dedica di Megilo P. A. a Tirsi, il nostro Filippo si firma Scriba della Soc. Lett. degli Umbri, attestando con ciò non solo la militanza nel sodalizio ma anche un ruolo direttivo in esso. Se n’era andato dalla Fulginia per aderire all’Umbra? o manteneva ambedue le sodalità? La raccolta in oggetto fu dedicata ad Eleonora Barnabò, una lontana parente di Pietro (e di Alessandro). Ignoriamo le ragioni della dedica. Ma, di ragioni, dovevano esservene state, forse inerenti a vicende dei vari rami Barnabò. Nella raccolta, assai ricca di contributi poetici e di raggio ampio sotto il profilo terrtoriale, figurano, con Betori Berardi, i seguenti Autori folignati o di legame stretto con la nostra città, tutti della Umbra: l’abate Bonaventura Rota, Girolamo Paolucci, l’abate Lorenzo De Dominicis (il quale chiuderà i suoi giorni terreni da vescovo di Orte), e l’abate Stefano Felici di Monte Grimano, professore di Belle Lettere in città. Infine, accenniamo al fatto che, se il Velino indicava proprio il Velino, il Tinna stava a metaforizzare il Topino, il nostro fiume, secondo una tradizione idronimica di stampo letterario ampiamente nota ai cultori dell’antiquaria folignate.
Il contesto parentale dell’abate Filippo Betori Berardi è descritto da F. Bettoni, Carpello, un “casino nobile” di campagna, due storie di famiglia, in L. Barroero, F. Bettoni, Andrea Carlone in Umbria. Gli affreschi di Villa Clio, presentazione di M. Gregori, Foligno, Edizioni Orfini Numeister, 1998; per la produzione poetica, Baldaccini-Menichelli, ad vocem; inoltre, Umbrorum, p. 150. Sulla residenza originaria dei Betori, poi Betori Berardi, si vedano: Bettoni-Sturm, n. 6; Bettoni-Marinelli, 2018, p. 173. Sul ramo patrizio dei Silvestri e sugli Elisei, titolati marchesi nel 1699 da Cosimo III granduca di Toscana, F. Bettoni, B. Marinelli, La “Description de la ville de Foligni”: città e ceto nobile tra Sei e Settecento, in BSCF, XIII, 1989, pp. 323-371; sul Cotta in Foligno (1724; 1731-33): E. Filippini, L’Accademia dei “Rinvigoriti” di Foligno e l’Ottava edizione del “Quadriregio”. (Studio storico larganente documentato), I, Perugia, Unione Tipografica Cooperativa, 1911, passim; si noti: questo è il titolo del frontespizio; la copertina reca: Idem, Un’Accademia umbra del Primo Settecento e l’opera sua principale. (Studio storico larganente documentato), I , Perugia, Unione Tipografica Cooperativa, 1911, passim; nonché B. Marinelli, G. B. Cotta, OSA, e la Vita di una monaca agostiniana in Foligno, in “Analecta Augustiniana”, LI, 1988, pp. 317-366, in particolare 319-325. Su Ersilia Foschi Bolognini (1690-1760), le belle pagine a lei dedicate nel libro di L. Gregori, La Valle del Menotre, Foligno-(Leggiana)-Assisi (Santa Maria degli Angeli), Porziuncola, 1990, pp. 215-228 (oggi ne è reperibile l’anastatica realizzata da Foligno Libri del nostro accademico corrispondente Marcello Cingolani, 2018); sui Barnabò, è di utilità orientativa l’albero di Lattanzi, La famiglia Barnabò, BSCF, V, 1981, ma si vedano anche le voci supra, dedicate al marchese Alessandro e al canonico Vincenzo. Sul Tinna, si veda il commento di E. Laureti a B. Pisani, Fulginia. Rime anacreontiche, ristampa anastatica a cura di E. Laureti, Foligno, Centro di ricerche Federico Frezzi, 2010, p. 61, nota 20. Sul panorama monastico locale: R. Tavazzi, I monasteri femminili a Foligno (sec. XIII-XVII), in BSCF, XXIX-XXX, 2005-2006, pp. 33-62.
Boncompagni Apollonio (1683-1763), da Foligno, 23 agosto 1759. Figlio di Troilo, appartenente a casato patriziale, consigliere al Comune aggregato il 19 gennaio 1705, generalmente designato con l’appellativo di gentiluomo. Nel 1712, partecipava da socio dell’Accademia dei Rinvigoriti (Accademicorum Civitatis Fulginiae Coetus, sodalizio nato nel 1707), alla corona di versi in onore dei due nobili folignati, il capitano Pietro Gregori secondo principe (cioè presidente, notizie su di lui: 1712-84) del Sodalizio dopo Giustiniano Pagliarini, e della sua nubenda Caterina Benedetti. In occasione della solenne incoronazine della statua della Madonna del Pianto che si teneva nel 1713, Apollonio disseriva nel corso di un “pubblico letterario congresso, con eruditissima Orazione”. Nel 1715, poetò in onore di Teresa Grillo Pamphili (in Arcadia, Irene Pamisia), neo-Rinvigorita (Eccelsa). Cofondatore della Colonia arcadica Fulginia, all’inaugurazione di questa, il 16 dicembre 1717, teneva la prolusione Sui pregi della poesia e del buon uso riformatore col carattere pastorale in Arcadia; e, nei primi mesi del ’18, ne veniva eletto vice-custode. Permase nella militanza rinvigorita; talché, intorno al 1715, collaboava allo studio dei codici del Quadriregio di Federico Frezzi (il vescovo poeta di Foligno, Ω 1416), e lo faceva in vista dell’edizione moderna a stampa del poema, che si sarebbe però avuta soltanto nel 1725. Anno, il ’15, nel quale il Nostro se ne andò a Napoli quale maestro di Camera della principessa Boncompagni Ludovisi (forse Ippolita Ludovisi, principessa di Piombino, moglie di Gregorio Boncompagni duca di Sora). Anno, il ’25, nel quale il Nostro spuntava di nuovo all’orizzonte folignate poetando in morte di Maria Battista Vitelleschi, Arcade (Nicori Deniatide) e Rinvigorita (con il nome di Affidata). Ormai reinserito stabilmente in Foligno (nel 1728, ad esempio, occupandosi del “commun pubblico bene”, si volgeva ai destini delle Scuole Pubbliche nostrane: Gesuiti o Barnabiti? Barnabiti), non mancava di dare il proprio contributo ad un’altra impresa rinvigorita, l’edizione, nel 1733, della seconda parte del Dio. Inni con annotazioni, opera dell’agostiniano Giovanni Battista Cotta (1668-1738) accuratamente realizzata sotto la regìa di Giustiniano Pagliarini (1667-1740), Arcade (Mintauro Ponziate) e primo principe Rinvigorito (Immaturo). Per ciò che al momento si conosce, il lascito poetico di Apollonio coprirebbe un arco di tempo che va dal 1712 al 1739. Si tratta di componimenti in versi per nozze e monacazioni. Detto Innominato, nei Rinvigoriti, tra gli Arcadi fu Ofrillo Fidalmio, o Fitalmio; a tal proposito, così scrive Attilio Turrioni, illustre latinista e grecista nostro Fulgineo: “Ofrillo significa piccolo ciglio, o sopracciglio, o ancora l’occhio, che è una parte per il tutto, da ophrùs; Fidalmio, dall’anima fedele, da collegare a fides e alma, con dissimilazione e caduta della vocale postonica: Occhio fedele”. (Se lo vorrà, il lettore, sempre accompagnato da Turrioni, potrà gustare la decrittazione dei finti-nomi sopra segnalati.)
E. Filippini, L’Accademia dei “Rinvigoriti” di Foligno e l’Ottava edizione del “Quadriregio”. (Studio storico larganente documentato), I, Perugia, Unione Tipografica Cooperativa, 1911, passim; si noti: questo è il titolo del frontespizio; la copertina reca: Idem, Un’Accademia umbra del Primo Settecento e l’opera sua principale. (Studio storico larganente documentato), I , Perugia, Unione Tipografica Cooperativa, 1911; E. De Pasquale, Leggi dell’Accademia Fulginia. Origine, tentativi, ricostituzione, statuti, in BSCF, VI, 1982, p. 251; Ergogeofili, pp. 155-216; B. Lattanzi, Dall’Archivio dell’Accademia, ivi, XIV, 1990, p. 414; A. Turrioni, Un ludus arcadico, in B. Pisani, Fulginia. Rime Ancreontiche, edizione a cura di E. Laureti, Foligno, Centro di ricerche Federico Frezzi, 2010, p. 182; Tavazzi, La carta di Foligno e l’attività editoriale dell’Accademia dei Rinvigoriti, in G. Castagnari (a cura di), L’industria della carta nelle Marche e nell’Umbria. Imprenditori lavoro produzione mercati. Secoli XVIII-XX, Fabriano, Pia Università dei Cartai, 2010, pp. 233-252; B. Marinelli, Giovanni Battista Cotta, 2012, www.centrostudifrezzi.it-biografie ; F. Bettoni, B. Marinelli, I Barnabiti “maestri di scuola” in Foligno, in F. Bettoni (a cura di), Lo spettacolare trionfo di San Carlo Borromeo nella Foligno del 1613, Foligno, Il Formichiere, 2013, pp. 227-235; G. Bertini, E. Presilla, L. Sensi (a cura di), La Madonna del Pianto di Foligno. III Centenario dell’Incoronazione, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2013; F. Bettoni, Albori accademici. A mo’ di postfazione, G. Biancani, De Diis Topicis Fulginatium Epistola, ristampa anastatica, edizione a cura di E. Laureti, Foligno, ArcheoClub Foligno e Centro di ricerche Federico Frezzi, 2014, p. 185; Baldaccini-Menichelli, ad vocem; Lattanzi-Rodante, ad vocem.
I Boncompagni erano apparsi sulla scena folignate forse già nel 1388, ma certamente nel ’96 quando Ugolino di Trincia Trinci, signore di Foligno, investito della podesteria di Leonessa vi delegava a suo vicario l’egregio ed illustre giurista dominus Apollonio domini Cataldi de Boncompagnis de Visso; tornato in Foligno (nell’anno 1400 era in servizio), il nobile vissano vi avrebbe svolto le funzioni di vicario del signore fino al 1427 (ovvero anche quando, morto Ugolino nel 1415, gli erano succeduti i figli Niccolò, Corrado e Bartolomeo in qualità di co-signori), con alcune inframmettenze: due podesterie in Foligno (1408 e 1409) ed una in Firenze (1423). Tra gli atti pubblici di Apollonio fin qui noti, ve ne fu uno particolarmente significativo: il 16 marzo 1426, presiedeva alla compilazione degli Statuta Communis Fulginei. Liber 4 super sponsalitiis, [sepulcris] mortuorum et ornamentis mulierum, in 24 rubriche. La vicenda successiva del personaggio è oscura. Sappiamo che ebbe, almeno, quattro figli: Troilo, Giustino, Cataldinno e Onofrio. Troilo, anch’egli uomo di leggi, ebbe fortune pubbliche notevoli: in Siena due volte podestà (1423 e 25), in Firenze un capitaneato di Giustizia; conte palatino investito personalmente dall’imperatore Sigismondo del Lussemburgo (1433) lo fu grazie ai Trinci; “parzialissimo” dei Trinci, era il fratello Giustino che nel 1441 tentava di rimetterli in signoria dopo che, nel ’39, erano miseramente crollati; Onofrio, dal canto suo, mercé il legame stretto del vescovo Frezzi con Ugolino Trinci otteneva tra il 1411 e il 1416 una serie di benefici ecclesiastici in quel di Visso e di Ussita coronando il percorso con la prestigisa prebenda canonicale nella collegiata di San Giovanni Profiamma in Foligno. (Apollonio aveva avuto un fratello, Bante domini Cataldi, il quale a sua volta ebbe almeno un figlio, dominus Cataldo domini Bantis anch’egli un egregius legum doctor.) Per questa intimità trinciana, forse, di tutti i nostri Vissani si sarebbero perdute le tracce. Tant’è che dopo il ’39 non figurano in nessuno degli atti ufficiali e seriali (degli anni 1445, 1456, 1460, 1472 trascritti e chiosati nella Storia di Foligno di Bernardino Lattanzi, nostro Fulgineo) attraverso i quali si possono individuare i casati e i soggetti appartenenti al grado priorale e, dopo la serrata nobiliare del ’60, a quello patriziale. Ma erano ben vivi, i Nostri. Nel 1516, infatti, Apollonio di Troilo di Cataldino metteva al mondo Troilo, che nel 1579 sarebbe diventato vescovo di Ripa Transone, e dal 1582 all’84, di Foligno. La lapide inserita nella cripta della cattedrale di Foligno sottolineava i legami con il papa Gregorio XIII (1502-85), il bolognese Ugo Boncompagni; del resto, lo studioso Lodovico Jacobilli, non sapremmo dire con qual fondamento, legava al bisavo Cataldino la ramificazione bolognese dei Boncompagni, sottolineando, nel contempo la benevolenza del figlio naturale del papa Gregorio, Giacomo Boncompagni duca di Sora e capitano generale di Santa Chiesa (1548-1612).
A quel che sembra, però, Giustino fu il perno iniziale della continuità dei Boncompagni in Foligno. Da lui, i figli Francesco, Pietro Paolo, Carlo, Virginia e Boncompagno. Da quest’ultimo, Ercole, abate, Cataldino, Nicola e Zefira. Nel 1644, quando venne realizzato il censimento parzialmente pubblicato da Fabio Bettoni e Bruno Marinelli (p. 38), Cataldino era defunto. Con la vedova Marcellina Pontano (nipote di Fabio, celebre, almeno per noi, erudito antiquario), vivevano il quindicenne Troilo, la dodicenne Maria Cinzia, e il novenne Boncompagno. Nel 1683, Troilo avrebbe messo al mondo il nostro Apollonio, al quale, Plautilla Panizzi dava Troilo il 14 febbraio 1728; fu allora che Apollonio e Pautilla dovettero decidere di convolare a nozze, il che avvenne il 24 febbraio. Troilo di Apollonio nel 1799 si dichiarò “civico”, ovvero fedele alla Repubblica Romana Giacobina. Aveva settant’anni, se non fosse stato un uomo di fede repubblicana chi glielo avrebbe fatto fare a dichiararsi tale?
Statuta Communis Fulginei. Liber 4 super sponsalitiis, [sepulcris] mortuorum et ornamentis mulierum, in Statuta Communis Fulginei, a cura di A. Messini e F. Baldaccini, con la collaborazione di V. De Donato, G. Nicolaj e P. Suoino, vol. I, Statutum Communis Fulginei, Perugia, Deputazione di Storia Patria per l’Umbria, 1969, pp. 329-341 (Fonti per la Storia dell’Umbria, n. 6); D. Dorio, Istoria della Famiglia Trinci, Foligno, Alteri, 1638, passim; L. Jacobilli, Bibliotheca Umbriae, Foligno, Alteri, 1658, pp. 83 e 263; Idem, Libro secondo ove si narra il Catalogo dei vescovi di Foligno […] (Testo aggiornato dall’Autore [intra 1664] e postillato da Andrea Biondi [intra 1803]), in L. Iacobilli, Vita di san Feliciano martire, vescovo di Foligno insieme con le Vite de’ vescovi successori a esso santo. Seconda edizione con le correzioni dell’Autore e le annotazioni di Andrea Biondi, a cura di M. Sensi, Foligno, Diocesi di Foligno, 2002, pp. 124-125; F. Marini, I vescovi di Foligno, Vedelago, Tip. Ars et Religio, 1948, p. 44; F. Bettoni, B. Marinelli, Un documento per la storia sociale ed economica di Foligno: la “Nota delli fuochi et anime” del 1644, in BSCF, XXIII-XXIV, 1999-2000, p. 38, n. 104; B. Lattanzi, Storia di Foligno, III/I, Roma, IBN Editore, 2000, pp. 83, 95142-144; S. Nessi, I Trinci signori di Foligno, Foligno, Edzioni Orfini Numeister, 2006, passim; B. Marinelli, Fabio Pontano. Notizie sulla sua vita, in Discorso di Fabio Pontano sopra l’antichità della città di Foligno, a cura di L. Sensi, Foligno, Accademia Fulginia di Lettere Scienze e Arti/ Archeoclub d’Italia-Sede di Foligno, 2008, pp. 135-138 (Supplemento n. 7 al BSCF); M. Biviglia, E. Laureti (a cura di), Il vescovo e il notaio. Regesti e trascrizioni dai protocolli (1404-1410) di Francesco d’Antonio, notaio del vescovo Federico Frezzi da Foligno, Foligno, Centro di ricerche Federico Frezzi, 2011, passim; M. Biviglia, E. Laureti, F. Romani (a cura di), Il vescovo e il notaio/2. Regesti e trascrizioni dai protocolli (1410-1416) di Francesco d’Antonio, notaio del vescovo Federico Frezzi da Foligno, presentazione di P. Franzese, Foligno, Centro di ricerche Federico Frezzi, 2013, passim; E. Laureti, Per una storia sociale di Foligno nel pieno Medioevo, in M. Biviglia, E. Laureti, F. Romani (a cura di), Nella Foligno di Federico Frezzi. Nobili e cittadini, popolani e contadini, frati monache confrati e notai (1341-1416), presentazione di P. Franzese, Foligno, Centro di ricerche Federico Frezzi, 2015, pp. 155-160 e passim; M. Biviglia, E. Laureti, F. Romani (a cura di), Nella Foligno di Federico Frezzi. A conclusione di una ricerca (2009-2016), Foligno, Centro di ricerche Federico Frezzi, 2016, passim.Per l’individuazione del palazzo e della divisa araldica: Bettoni, Sturm, n. 9; Bettoni, Marinelli, 2018, p. 144; Bartoli, Lattanzi, p. 134; Coronelli, p. 30; Marinelli, 2014, pp. 320, n. 29, 321, n. 29. Baldaccini-Menichelli, ad vocem; Lattanzi-Rodante, ad vocem
Per l’individuazione del palazzo e della divisa araldica: F. Bettoni, B. Marinelli, Foligno. Itinerari dentro e fuori le mura, Foligno, Edizioni Orfini Numeister, 2001, p. 147; Iidem, Foligno. Storia, arte, memorie nel centro antico, Foligno, Edizioni Orfini Numeister, 2018, p. 144; Bartoli, Lattanzi, p. 134; Coronelli, p. 30; Marinelli, 2014, pp. 320, n. 29, 321, n. 29. Baldaccini-Menichelli, ad vocem, Lattanzi-Rodante, ad vocem.
STEMMA BONCOMPAGNI
Borgia monsignor Stefano (1731-1804), governatore di Benevento, 25 novembre 1759. Governatore negli anni 1759-64, poi cardinale dal 1789. Nel periodo beneventano raccolse la documentazione per le Memorie istoriche della città pontificia di Benevento dal secolo VIII a XVIII, opera che sarebbe uscita in tre volumi negli anni 1763-67.
Per i rapporti con Foligno, circa l’edizione da parte dei Fulginei delle Historiae suorum temporum di Sigismondo Conti (Ω 1502) si veda M. Sensi, Giovanni Mengozzi erudito ecclesiastico di San Marino umbro di adozione (1726-1783), Colfiorito di Foligno, Sagra della Patata Rossa, 2000. Circa la storia numismatica folignate, S. Borgia, Spiegazione di una moneta d’oro di Pio II battuta in Fuligno, in G. A. Zanetti, Nuova raccolta delle Monete e Zecche d’Italia che può servire di Parte Settima in continuazione alla Raccolta dell’Argelati, II, Bologna, Zanetti, 1779; per il contesto, R. Ganganelli, Giovanni Mengozzi e gli studi settecenteschi sulla monetazione folignate, in G. Mengozzi, Sulla Zecca e sulle Monete di Foligno, a cura di F. Bettoni e R. Ganganelli, ristampa anastatica dall’edizione del 1775, Forlì, Sintoni Filatelia & Numismatica per Circolo Filatelico e Numismatico di Foligno, 2008, pp. 43-54.
Per la biografia: H. Enzenberger, Borgia, Stefano, DBI, 12, Roma, IEI, 1971; si può vedere anche la voce in < www.cathopedia.it >; molto interessante L. Bonavita, Il cardinale Stefano Borgia. Un erudito del Settecento tra cultura e religione. Con appendice di documenti, Roma, Edizioni Edicampus, 2014.
Baldani monsignor Antonio, da Roma, segretario Congregazione delle Acque, segretario Accademia dell’Istoria romana e Antichità profane in Campidoglio, 25 novembre 1759. Per quanto concerne il segretariato accademico, gli anni andarono dal 1741 al ’58. In Arcadia, Nicalbo Cleoniense.
Baragetti, passim; De Dominicis, ad vocem.
Berti padre Gian Lorenzo, agostiniano, professore in Sacra Teologia, Università di Pisa, 25 novembre 1759. Fu l’autore di un prestigioso manuale: De theologicis discliplinis, in otto volumi, pubblicato tra il 1739 e il 1745, che venne adottato dal 1746 negli Studia maggiori dell’ordine Agostiniano in Italia. Subì veementi attacchi da teologi e presuli francesi per un presunto orientamento giansenista dell’opera, mentre, per contro, il movimento giansenista in Italia lo ritenne un lavoro estraneo, se non avverso. Per restare al campo manualistico, Berti, nel 1760, avrebbe pubblicato un Historiae ecclesiasticae breviarium ad uso degli studenti agostiniani. La bibliografia delle opere del Nostro fu ampia e articolata.
B. van Luijk, Gianlorenzo Berti agostiniano (1696-1766), in “Rivista di Storia della Chiesa in Italia”, XIV, 1960, pp. 235-262, 383-410; G. Pignatelli, Berti, Gianlorenzo, in DBI, 9, Roma, I.E.I., 1967.
Barattini dom Mauro, abate cassinese, 5 gennaio 1760
Boscovich padre Ruggiero (1711-87), gesuita, 5 gennaio 1760. Il religioso (presbitero dal 1744) aveva avuto rapporti con Foligno, ove, alla Vignola, fioriva l’Opera degli Esercizi (1728), e tradizione vuole che intorno al 1755 avesse incontrato il giovane Giuseppe Piermarini (1734-1808).L’acclamazione avvenne in un periodo della vita di Boscovich caratterizzato da un viaggio ininterrotto tra diverse capitali europee anche con missioni diplomatiche più o meno esplicite e dichiarate (1757-63). Nel 1760, a Londra, usciva il De Solis ac Lunae Defectibus, di cui si sarebbe scritto “cet ouvrage est exactement Newton dans la bouche de Virgile” (abbé Barruel). Tra il 1758 e il 1763, vedeva la luce (Vienna e Venezia) l’imponente Theoria Philosophiae Naturalis, di cui nel 2018 è uscita l’edizione a cura di Luca Guzzardi, per l’Edizione Nazionale delle Opere e della Corrispondenza di Ruggiero Giuseppe Boscovich, con una introduzione del curatore (pp. 13-56) assai aggiornata. Non si può prescindere dalla lettura delle introduzioni ai volumi dell’Edizione nonché dell’apparato critico. Fu aggregato anche all’Accademia Lerreraria degli Umbri fondata nel 1761 da Alessandro Barnabò di cui supra alla voce relativa.
Per un primo contatto con il personaggio, P. Casini, Boscovich, Ruggiero Giuseppe, in DBI, 13, Roma, IEI, 1971; R. J. Boscovich vita e attività scientifica, (His Life and Scientific Work), Roma, IEI, 1983; G. Paoli, Ruggiero Giuseppe Boscovich nella scienza e nella storia del ’700, Roma, Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, 1988; E. Proverbio (a cura di), Catalogo delle opere a stampa di Ruggiero Giuseppe Boscovich, Roma, Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, 2007. Sui rapporti con Piermarini, si veda da ultimo M. Tabarrini, Piermarini, La formazione, in M. Fagiolo, M. Tabarrini (a cura di), Giuseppe Piermarini tra barocco e neoclassico. Roma Napoli Caserta Foligno, Perugia, Fabrizio Fabbri Editore, 2010, pp. 19-21. Infine, Umbrorum, p. 151
Barlocci padre Innocenzo, assistente in Italia dei Barnabiti, 5 gennaio 1760. Negli anni 1720, aveva insegnato nella scuola annessa al Collegio San Carlo in Foligno.
Per il contesto, F. Bettoni, B. Marinelli, I Barnabiti “maestri di scuola” in Foligno, in F. Bettoni (a cura di), Lo spettacolare “trionfo” di san Carlo Borromeo nella Foligno del 1613, Foligno, Il Formichiere, 2013, pp. 228-235.
Biancani [Tazzi] Jacopo (1729-89), da Bologna, 18 gennaio 1761. Autore della De Diis Topicis Fulginatium,inizialmente il Nostro si votò allo studio delle scienze naturali, si appassionò poi all’anriquaria, all’archeologia, alla museologia, come si legge nel saggio biografico di L. Bertoglio (2014).
L. Bertoglio, Giacomo Biancani Tazzi, in G. Biancani, De Diis Topicis Fulginatiun Epistola, Ristampa anastatica, edizione a cura di E. Laureti, Foligno, ArcheoClub Foligno e Centro di ricerche Federico Frezzi, 2014, pp. 45-58.
Brunelli abate Epifanio, bibliotecario della Biblioteca Gambalunga, Rimini, 18 gennaio 1761. Figlio di Bernardino che lo precedé alla Biblioteca Gambalunga (1748-67), Epifanio resse l’Istituto da 1767 al ’96; fu “un protetto del Garampi la cui gestione tecnicamente competente ma alquanto indolente e trascurata fu irriconoscente verso il benefattore e costrinse le autorità a ripetuti provvedimenti”.
La Gambalunghiana nel Settecento: il ruolo del cardinale Garampi, www.bibliotecagambalunga.it.
Bagherini abate Alfonso, da Firenze, 28 settembre 1761.
Borghesi Pietro (1722-94), da Savignano sul Rubicone, 17 dicembre 1761. Cultore di antichità, archeologia, numismatica celeberrimo.
A. Campana, Borghesi, Pietro, in DBI, 12, Roma, IEI, 1971.
Bassi Venuti Laura Maria Caterina, da Bologna, 1761.
Baganti [Bagnati?] canonico Michele, in Sant’Arcangelo di Romagna, dott. Sacra Teologia, abate, 22 gennaio 1762.
Blasi abate Biagio, da Pergola, 22 gennaio 1762.
Benedetti dom Pietro [rectius: Roncalli Benedetti], da Foligno, abate olivetano, 9 maggio 1762. Abate di Santa Maria in Campis, Foligno; di casato patriziale, fu anche aggregato all’Accademia Letteraria degli Umbri.
Umbrorum, p. 160.
Bensi [o Benzi] Gio. Batta, patrizio di Assisi, maestro di Campo, colonnello, governatore dell’Armi di Perugia, e della provincia dell’Umbria per la Santa Sede, 20 gennaio 1763.
L’ordinamento militare pontificio in questo periodo è caratterizzato dalle linee di riforma impresse da Benedetto XIV nel 1740, sottoposte ad adeguamenti sul piano finanziario e amministrativo negli anni 1756-57, restate in essere organicamente fino al 1792 quando la struttura militare nel suo insieme fu inquadrata all’interno del Tesorierato Generale: illuminante, su questa evoluzione L. Giangolini, Le Armi del papa. L’esercito pontificio tra burocrazia curiale e nobiltà (1645-1740), tesi di dottorato in Storia Moderna (XXI ciclo), relatore e correlatore E. Valeri, G. Brunelli, Roma, Sapienza Università, a. a. 2017-2018, scaricabile da www.iris.uniroma1.it.
Quanto alla dizione “maestro di Campo” essa riguardava una precipua distinzione del patriziato assisiate (insieme al Gonfalonierato), quella di Capitano della Fiera di Santa Maria degli Angeli durante il Perdono, una magistratura che trovò la sua progressiva definizione tra 1390 e 1467, si vedano: F. Guarino, Funzionamento e gestione degli uffici cittadini, in A. Grohmann, Assisi in età barocca, Assisi, Accademia Properziana del Subasio, 1992, pp. 315-335; F. Bettoni, Le basi economiche del patriziato cittadino, ivi, pp. 223-273 (in particolare 230-232); l’evoluzione in senso patriziale dei Bensi è ascrivibile alla seconda metà del Seicento, giacché nelle tabelle dei consiglieri del Comune redatte tra 1640 e 1672 figuravano ancora nel novero dei cittadini. L’avvenuto passaggio di grado è attestato nel 1708 da Coronelli, p. 33.
Sul grande evento annuale che investiva la piana degli Angeli, M. Sensi, Il Perdono di Assisi, Assisi-Santa Maria degli Angeli, Edizioni Porziuncola, 2002.
Baldassini marchese Alessandro, 12 maggio 1763. Di casato appartenente alla nobiltà patriziale di Gubbio, Pesaro e Senigallia; Alessandro avrebbe aggiunto di suo il patriziato di Modena (1775), in quanto gentiluomo di Camera della duchessa Amalia d’Este e ciambellano.
Prosopografia alfabetica dei Legati e Governatori dello Stato Pontificio 1550-1809, www.archivi.beniculturali.it, ad vocem.
Baldiscini Fabio, da Jesi, 1 marzo 1767.
Beccianti padre Angelo Maria, gerolamino, 21 marzo 1772.
Baldessini Marcello, barnabita, 27 gennaio 1773.
Bartoccini padre Marcolino, lettore, Ordine dei Predicatori, 27 gennaio 1773.
Baldai marchese Alessandro, da Camerino, 5 gennaio 1774.
Bellendi padre Domenico, Ordine dei Predicatori, maestro, 27 febbraio, 1774.
Battarra don Giovanni Antonio (1714-89), da Rimini, 1776. Docente di Filosofia, cultore di scienze Naturali, Agrarie, Zoologiche, nonché delle tradizioni popolari; ebbe vivaci polemiche con l’abate Amaduzzi (supra). Fu aggregato anche all’Accademia Letteraria degli Umbri, fondata nel 1761 da Alessandro Barnabò, di cui si è scritto di sopra.
I. Zicàri, Battarra, Giovanni Antonio, in DBI, 7, Roma, IEI, 1970; anche G. Gasperoni, Movimento culturale umbro nel scolo 18, in BrDSPU, 37, 1940, p. 202 , ove si legge un esempio della cordiale acredine tra Amaduzzi e Battarra; Umbrorum, p. 150.
Brioselli padre Paolo Alessio, barnabita, 2 aprile 1778.
Per il suo contesto, F. Bettoni, B. Marinelli, I Barnabiti “maestri di scuola” in Foligno, in F. Bettoni (a cura di), Lo spettacolare trionfo di San Carlo Borromeo nella Foligno del 1613, Foligno, Il Formichiere, 2013, pp. 228-235.
Bini Giuseppe, professore di Eloquenza, 2 aprile 1778.
Bartolini dottor Luigi, 2 luglio 1781 (Ω 1825). Originario di Trevi, di casato appartenente al Primo Ceto di quella terra, nel 1790 sarebbe stato proclamato medico pubblico del paese d’origine, ma la contestazione della sua nomina dovuta a motivi di carattere privato avanzata dall’esponente principale di una famiglia trevana tradizionalmente avversaria dei Bartolini, lo spingevano ad andarsene. Lo si sarebbe pertanto trovato in Foligno, ove, in età napoleonica, avrebbe svolto anche funzioni di medico pubblico. L’Archivio privato dei Bartolini in Trevi conserva documenti che lo riguardano ed anche le sue “prove” letterarie.
Lattanzi IV, pp. 298, 324; A. P. Bartolini, Biografia di Clemente Bartolini, Trevi, Global Service Edizioni per Anna Paola Bartolini, 2014, passim.
Barsotti padre Pietro, lettore, Minore Osservante, San Bartolomeo di Foligno, 10 giugno 1795.
Barugi marchese Giuseppe (1771-1849), Foligno, 3 marzo 1795. Figlio di Girolamo (supra), Giuseppe è dato V nella genealogia ricostruita da Lattanzi nel suo saggio sui Barugi. Eletto subito nel Collegio dei XII Viri Accademiae Fulginiae Coservandae vi rimase ininterrottamente riconfermato nei due rinnovi del 1815 e del 1826 (non si hanno notizie di successive tornate accademiche concernenti l’assetto del Collegio); nel 1815 venne eletto assessore dell’Accademia, ma, a nostra conoscenza, non svolse interventi accademici e letterari di sorta. Tra i promotori della costruzione di un nuovo teatro, nel 1827 entrava nel consiglio direttivo dell’Accademia del Teatro Apollo. Giuseppe Bragazzi (1808-84) che lo conobbe personalmente sottolinea, nel Compendio della storia di Fuligno, il ruolo avuto da Barugi nella ricostituzione post-napoleonica delle scuole pubbliche cittadine; in effetti, nella sua veste di rettore pro tempore di esse, Barugi aveva pilotato e concluso nel 1822 un nuovo contratto di affidamento ai Barnabiti delle scuole comunali nel Collegio di San Carlo nel quale avevano fatto ritorno dopo la soppressione operata in età napoleonica. Fu molto attivo sulla scena pubblica-politica, della quale è opportuno delineare qualche tratto a partire dal 15 febbraio 1797 quando entravano in Foligno le truppe francesi (12 mila uomini) al comando del generale Victor Perrin; ciò permetterà di meglio tratteggiare la complessa figura del Nostro. Allo scopo, terremo dinnanzi ai nostri occhi il Diario delle cose di Foligno dal 1791 al 1824 (pubblicato postumo da M. Faloci Pulignani nell’ “Archivio Storico per le Marche e per l’Umbria”, IV, 1888, pp. 556-595). Entro il 25 marzo del 1797, i militari francesi furono smistati tra Umbria e Marche, quindi, il 25 marzo sopraggiungevano le truppe pontificie. Infatti, con il trattato di Tolentino del 19 febbraio appena trascorso, si era convenuto che la sovranità del papa si ristabilisse su Lazio, Umbria e Marche, ma, in cambio, i francesi avevano ottenuto l’annessione di Avignone in Francia, i territori di Bologna, Ferrara, Romagne, e la facoltà di occupare Ancona. Si apriva una fase di transizione, caratterizzata: dalla ripresa delle ostilità tra Francia ed Austria, dalla sconfitta di quest’ultima, dal trattatato di Campoformido (17 ottobre) con le sue conseguenze, dalla proclamazione della repubblica in Ancona (19 novembre), dalle susseguenti insurrezioni delle comunità costiere dell’Adriatico, quindi, con il 22 gennaio del 1798, dalla trasformazione repubblicana di molte realtà marchigiane eccezion fatta per il Camerinese, il Fermano e l’Ascolano; ma anche, e si direbbe soprattutto, questo periodo transitorio fu caratterizzato dall’uccisione in Roma del generale Léonard Duphot (27 dicembre ’97) e ciò fu l’occasione attesa dalla Francia per innescare un intervento militare risolutore.
Così, come ricorda il Diario, il 5 febbraio 1798 i francesi al comando del generale Louis-Alexandre Berthier calavano in Foligno. Entro il 20 dello stesso mese, transitavano almeno 30 mila militari; nel frattempo: lo stesso 5 febbraio Foligno era stata “dichiarata repubblica”, il 7 era stato “messo l’albero della Libertà”, l’8 aveva preso stanza un presidio militare di 800 francesi (e stabilmente sarebbe rimasto fino al mese di aprile), si era formata la prima Municipalità repubblicana composta da Giuseppe Fedeli, presidente, Carlo Giberti Mattòli (sul quale, infra la voce relativa), Decio degli Onofri Barugi (era il fratello di Giuseppe Barugi), Francesco Colombi, Francesco Pizzoni (sul quale, infra la voce relativa), Francesco Brunetti, Francesco Antonio Piermarini (fratello del celebre architetto Giuseppe), mentre Giuseppe Barugi aveva assunto il comando della Guardia Civica. Nelle linee generli la vicenda politica locale procedeva secondo le dinamiche proprie del ciclo repubblicano avviato nel ’97, finché, il 19 giugno 1799, si affacciava sulla scena folignate un gruppo (numericamente imprecisato) di insorgenti, e, stando al Diario, tra il 23 giugno e il 4 luglio, Foligno diventava un centro operativo dei francesi contro gli insorgenti attestati nelle Marche, in particolare nella vicina Camerino. Ma ormai gli austriaci si stavano avvicinando, e il 5 agosto si verificò in Foligno una sollevazione antifrancese di una parte della popolazione. Il successivo giorno 6, gli imperiali entravano in città: l’autore del Diario, un fedele suddito del papa, descrive con grande compiacimento la fine della parentesi repubblicana e quanto vi fece seguito fino a tutto il dicembre del ’99 enumerando con puntigliosa precisione i contingenti militari di passaggio e le loro entità. Nel mezzo di questo turbinìo di austriaci, ungheresi, croati e turchi diretti verso le Marche o da lì provenienti, il 6 ottobre del ’99 si era riusciti ad arrestare “sei giacobini, veri capi, che erano fuggiti da Roma per andare a Bologna”. L’operazione di polizia antigiacobina proseguiva l’indomani 7 ottobre spostandosi a Trevi. I trasferimenti di truppe interessarono la città per tutto il periodo della Reggenza che si protrasse fino al 15 febbraio del 1800; poi ricominciarono coprendo l’intero mese di maggio fino alla caduta di Genova (che era stata occupata dal generale Massena), evento salutato da noi (9 giugno) con manifestazioni di esultanza. Non era ancora la fine della temporanea egemonia francese in Italia, ma questa non sarebbe stata lontana: nell’agosto, Suvorov avrebbe inflitto una sconfitta decisiva a Joubert con la battaglia di Novi Ligure.
Intanto, il 2 marzo 1800, vi era stata una sollevazione di popolo senza precedenti. Questa volta non era stata una rivolta antifrancese: non è da escludere che gli agitatori, dei proletari, fossero una frangia di “giacobini” che fece leva sui bisogni di una popolazione ridotta allo stremo dal susseguirsi incalzante degli eventi, dei regimi, degli eserciti. Il volgere delle vicende internazionali riportava in auge l’egemonia della Francia di Napoleone nella Penisola e faceva nuovamente di Foligno il centro operativo dei francesi. Qui, il 4 febbraio 1801, Gioacchino Murat stabiliva il quartier generale diretto verso il Mezzogiorno. Una presenza fugace; poi tra il 12 e il 17 giugno 1809, si apriva una più incisiva e durevole fase all’insegna di Napoleone; quindi, con la sconfitta di Bonaparte a Lipsia (16-19 ottobre 1813), cominciava il crollo del sistema napoleonico e ciò si ripercuoteva anche in Foligno. Come si annota nel Diario, dal 17 dicembre del 1813, la città si ritrovò all’interno di quella porzione degli Stati Romani “temporaneamente occupati” da Murat il quale, l’11 gennaio del 1814 stipulava un’alleanza con l’Austria in chiave antifrancese, ottenendo il riconoscimento della sua sovranità su Napoli. Grazie al trattato, sempre in gennaio, Gioacchino risaliva il Lazio, entrava trionfalmente in Roma, passava in Umbria e si spingeva fino ad Ancona. Tuttavia, non se la sentì di attaccare i francesi né quelli asserragliati in Castel Sant’Angelo né quelli stanziati nelle città portuali di Civitavecchia e di Ancona, bensì rivolse le armi contro il vicere d’Italia Eugenio di Beauharnais, figliastro di Napoleone, rimasto fedele al patrigno, e si scontrò con lui il 7 marzo a Reggio Emilia. Era l’inizio della fine per il Regno Italico, un processo di decomposizione che si sarebbe concluso il 23 aprile quando Eugenio consegnava all’Austria tutto il territorio del Regno e si ritirava a Monaco di Baviera. L’accelerazione del processo era dovuta all’abdicazione di Napoleone (6 aprile), all’agitazione antifrancese in Milano e all’assassinio del conte Prina (20 aprile), alla volontà degli Inglesi di mantenere salda l’alleanza con l’Austria alla quale si riconobbe ufficialmente la Lombardia (12 giugno). Secondo le parole del diarista, Foligno aveva accolto re Gioacchino con grandissimo calore il 29 gennaio del 1814 mentre passava da noi “per andare nel Regno d’Italia”, ovvero nel vivo di quella campagna a fianco dell’Austria che lo avrebbe condotto anche allo scontro con il principe Eugenio. Di ritorno da essa, Murat sarebbe passato di nuovo per Foligno il 30 di aprile andando verso Napoli. Il 12 maggio del 1814, comunque, l’ingresso in Foligno di mons. Lodovico Gazzoli, delegato apostolico, chiudeva da noi l’età napoleonica e quella brevissima di Murat. Nessun cenno sulle pagine del Diario alla successiva epopea di Murat, scandita: dal ritorno di Napoleone in Francia e il suo rientro a Parigi tra il primo e il 20 marzo del 1815; dal proclama murattiano di Rimini del 30 marzo (“dall’Alpi allo Stretto di Sicilia odasi un grido solo: l’indipendenza d’Italia”); dalla battaglia rovinosa di Tolentino (2-3 maggio); dalla ritirata per la via di Civitanova verso il Regno; dall’armistizio di Casalanza (20 maggio); dall’esulato; dal rientro a Pizzo di Calabria (8 ottobre); epopea che si sarebbe conclusa il 13 ottobre del 1815 quando il re fu giustiziato. Trova un’eco diaristica considerevole, invece, quella che viene chiamata la Costituzione Rivoluzionaria di Napoli, ovvero il moto carbonaro capeggiato da Guglielmo Pepe nel luglio del 1820 che favorì la promulgazione di una costituzione liberale; e la reazione delle potenze europee concertata a Lubiana nel 1821, dalla quale derivava in Foligno l’ennesimo, pesantissimo passaggio di truppe sotto il comando del generale Frimont. Fu questi, a Rieti ed Antrodoco, a prevalere nel marzo del 1821 sulle truppe napoletane comandate da Pepe. Il Diario osserva: “Dopo pochi giorni si è saputa l’officiale notizia della fuga dei Napoletani, e della conquista del Regno dopo brevissima zuffa. I carbonari, che così erano chiamati i rivoltosi, parte sono fuggiti, e sono fucilati quelli che carcerati si mantengono ostinati”. L’eco di Napoli si sarebbe sentita a lungo in Foligno.
In queso contesto, Barugi ebbe un ruolo di primo piano che i dati di conoscenza attualmente in essere adombrano appena. Nel 1802 ne veniva proposta alle Autorità sovraordinate la nomina a consigliere comunale per il triennio 1802-1805, e, oltre ad essere immesso nella carica, diventava numerario del Numero dei Venti Consiglieri formante il Consiglio ristretto cui venivano demandate le questioni amministrative più delicate. Successivamente riconfermato consigliere, lo avrenmmo trovato nel 1807 commissario all’Ospedale San Giovanni Battista di via della Fiera; e, il 2 settembre del 1808, vigente ormai in Roma una Consulta Straordinaria presieduta dal generale Miollis (dal 2/3 febbraio), Consulta che non definiva l’incorporazione all’Impero francese anche se le somigliava assai, Barugi, nella sua qualità di capo della Municipalità, rendeva omaggio a Maria Carolina regina delle Due Sicilie di passaggio da noi e in breve sosta all’Hotel della Posta. Non era più a capo del Comune il 10 giugno 1809, quando Miollis diventava Comandante supremo della Provincia dell’Umbria, segnando l’incorporazione della nostra città all’Impero. In questa fase che sarebbe durata fino al 16 aprile 1814 (di lì a non molto, come abbiamo accennato, s’insediava Gazzoli), il Nostro, il quale figura nella Liste de Cent plus fort Contribuables de la Commune de Foligno stilata nel 1811 (con un montant contributif di 1.600,06 franchi), partecipò a commissioni, fu imbussolato e poi eletto consigliere della Municipalità, fu eletto anche elettore di Circondario, concorse (1813) alla formazione della Guardia d’Onore di Napoleone, insomma, come si scriveva negli atti ufficiali, era Homme attaché au present Gouvernement et de beaucoup de influence sur la Population. Con il passaggio dei dipartimenti del Trasimeno e del Clitunno sotto Murat, il 21 gennaio 1814, Barugi, il 22 gennaio, lasciava il suo incarico di commissario di guerra, ma poi veniva immediatamente riconfermato dalle autorità murattiane. Tra il marzo e l’aprile 1814, si formava a Foligno una Reggenza Provvisoria con quattro reggenti e otto consiglieri del Comune, tra questi Barugi; ma, per ragioni che restano da chiarire, se ne sospendevano ruolo e funzioni il 24 dicembre 1814, e, per l’immediato, sembra che non venisse reinserito. Tuttavia, e questo sarà da verificare, di lì a non molto sarebbe riemerso al massimo livello istituzionale. Senz’altro ciò era avvenuto prima del 1817. Come annota Giustiniano degli Azzi Vitelleschi in un suo saggio (Bonapartisti, massoni e carbonari nell’Umbria dopo la restaurazione pontificia (1814-1818), in “Archivio Storico del Risorgimento Umbro”, II (1906), III), un “risveglio settario s’accentuava infatti in più luoghi: a dì 27 giugno 1817 s’intese che in vari paesi s’erano affissi proclami allarmanti, massime in Foligno”; e aggiunge: “Tra i settari intanto dell’Umbria e quelli della vicina Marca pareva corressero segrete intese e la polizia credette averne in mano le fila, arrestando e processando il marchese Giuseppe Barugi, allora gonfaloniere di Foligno, perché si reputava tenesse segrete corrispondenze col conte Cesare Gallo di Osimo, domiciliato in Macerata, e che si diceva fosse alla testa del sordo fermento che nelle Marche ‘agitava dei spiriti turbolenti e faziosi’. Latore di quelle corrispondenze resultò essere un tal Cesare Giacomini di Ascoli, supposto autore degl’incendiari proclami che circa ai 20 di luglio [1817] s’eran trovati affissi in Foligno. Ma o fosse l’alta posizione sociale del Barugi od altro, il processo non ebbe seguito a di lui carico: così però, purtroppo, non fu pei generosi patrioti marchigiani, il Gallo, cioè” e qui ci fermiamo. Il Nostro rientrava sicuramente in Consiglio con decreto della Segreteria di Stato del 1823; e il 16 maggio del 1824 risultava gonfaloniere. Commissario di guerra in Foligno subito dopo la secessione proclamata il 5 febbraio 1831 dalle città settentrionali dello Stato pontificio; ma poi lo troviamo anziano del Comune, come risultava il 21 aprile, appena esaurita (26 marzo) l’effimera ventata rivoluzionaria che aveva dato vita alle Provincie Unite Italiane. Le riforme istituzionali introdotte nello Stato pontificio dopo i moti del ’31, ne garantivano nel 1833 il seggio al Consiglio comunale nella quota spettante ai Consiglieri Nobili. L’assetto patrimoniale a quella data era il seguente: il valore dei beni economici era dato in 150 scudi; il valore dei beni registrato nel catastino urbano era stimato in 950 scudi (v’era l’antico palazzo Canuti); il patrimonio censito nel catastino rustico era valutato 10.124,61 scudi, per un’estensione fondiaria di 83 ettari. Va considerato, tuttavia, che nel 1834 il catastino rustico di Rasiglia, ove erano censiti i beni del marchesato della Popola, segnalava come intestati a Barugi ben 163 ettari di terra, il che faceva salire l’entià della superficie fondiaria complessiva a 246 ettari. Ma non sempre la quantità si trasforma in qualità. E lì si trattava di prati-pascolo e di boschi in modo prevalente. In base alle nostre conoscenze, negli anni ’33-34, Giuseppe conservava i beni di cui disponevano il padre e gli zii quando ottenevano il titolo marchionale (1777). Né l’Impero, né la restaurazione avevano favorito il suo arricchimento ulteriore.
B. Lattanzi, I Barugi, il loro vescovo, il loro palazzo, in BSCF, XIX, 1995, pp. 331-372; P. Nobili, L’organizzazione economica dello spazio urbano di Foligno, sulla base del Catasto gregoriano, tesi di laurea relatore A. Grohmann, Perugia, Università degli Studi, Facoltà di Scienze Politiche, Indirizzo storico-politico, a.a. 1993-94, Tabella B; F. Bettoni, Palazzo Canuti […], in Residenze; Idem, Liborio Coccetti nel palazzo Canuti […], ivi; F. Bettoni, M. R. Picuti, La montagna di Foligno. Itinerari tra Flaminia e Lauretana, Foligno, Edizioni Orfini Numeister, 2007, pp. 290-294; Baldaccini-Menichelli, ad vocem; Lattanzi-Rodante, ad vocem; G. Bragazzi, Compendio della storia di Fuligno, Fuligno, Tomassini, 1859, p. 119; Lattanzi, IV, passim; Lattanzi, V, passim; F. Bettoni, E. Laureti, Per un atlante tematico e biografico. Storia e memoria in movimento, in F. Bettoni (a cura di), Foligno e il Risorgimento. Documenti, memorie, ricerche, presentazione di S. Gentili, Foligno, Edizioni Orfini Numeister per Consiglio comunale di Foligno, Foligno, 2012, pp. 244-246 e passim.
Benedetti Gio. Batta, rectius Roncalli Benedetti (1772-1844), Foligno, 10 giugno 1795. Figlio di Domenico (Ω 1803), a sua volta figlio del Giovanni Battista il quale nel 1759 era stato tra i fondatori dell’Accademia Fulginia, il nostro Giovanni Battista era in effetti un Roncalli Benedetti. Non conosciamo di lui, né un’attiva partecipazione agli assetti accademici istituzionali, né una specifica attività letteraria. Ricerche in tal senso dovranno essere effettuate. L’aggiornamento realizzato nel 1828 dell’Albo delle Famiglie Nobbili, ossia Primo Ceto attestava il ruolo di consigliere comunale espletato dal Nostro. Consigliere comunale dall’11 dicembre 1800, dovrebbe essere rimasto tale fino alle nuove, sostitutive aggregazioni di età imperial-napoleonica (1809-14). Nel frattempo, 19 giugno 1802, era stato eletto tra i numerari del Numero dei Venti Consiglieri che formavano il Consiglio piccolo preposto alla trattazione delle questioni più delicate e complesse. Nel 1805 (15-16 maggio), era tra i consiglieri comunali attivi nelle onoranze da tributare al papa Pio VII di ritorno da Parigi ove si era recato per l’incoronazione di Napoleone Bonaparte a imperatore dei Francesi (2 dicembre 1804). Prima che il processo d’incorporazine di Foligno si completasse, il che venne formalmente sancito il 10 giugno 1809, ebbe modo di svolgere la funzione di gonfaloniere, ovvero di capo dell’Amministrazione comunale, ma sarà da precisare se il mandato sia stato svolto da lui una o più volte. Durante l’incorporazione, sembra non avesse avuto incarichi pubblici; per questo periodo vi sono, tuttavia, almeno due segnalazioni significative: nel 1811, era elencato nella Liste de Cent plus fort Contribuables de la Commune de Foligno (con un montant contributif di 350 franchi che lo poneva tra i contribuenti meno facoltosi); nel 1813,concorse alla formazione della Guardia d’Onore di Napoleone. Con un lungo balzo in avanti arrivando al 15-17 febbraio del 1831, vediamo che veniva rimosso dall’Amministrazione comunale di cui era gonfaloniere, giacché si avviava anche da noi quel movimento insurrezionale-rivoluzionario che avrebbe condotto alla formazione delle Province Unite Italiane; dopo di che, gonfaloniere di bel nuovo, il 22 aprile firmava, insieme al governatore pontificio Giovanni Testa, una Notificazione che invitava i concittadini ad esultare per il ripristinato governo di Gregorio XVI. Le riforme istituzionali introdotte dopo i moti del ’31, confermando quanto i già menzionati atti ufficiali del 1828 avevano attestato, garantivano nel 1833 l’appartenenza di Giovanni Battisa al Consiglio comunale nella quota spettante ai Consiglieri Nobili. L’assetto patrimoniale a quella data era il seguente: il valore dei beni economici era dato in 37,50 scudi, il valore dei beni registrato nel catastino urbano era stimato in 495 scudi, il patrimonio censito nel catastino rustico era valutato 2.790,25 scudi, per un’estensione fondiaria di 30 ettari. Né l’Impero, né la restaurazione ne avevano favorito l’arricchimento.
P. Nobili, L’organizzazione economica dello spazio urbano di Foligno, sulla base del Catasto gregoriano, tesi di laurea relatore A. Grohmann, Perugia, Università degli Studi, Facoltà di Scienze Politiche, Indirizzo storico-politico, a.a. 1993-94, Tabella B; B. Marinelli, Delle dimore della famiglia Benedetti, in BSCF, XIX, 1995, pp. 581-601; Lattanzi, IV, passim; Lattanzi, V, passim.
Bernardini priore Antonio (1772-1821), da Foligno, padre reggente, 10 giugno 1795. La sua militanza accademica sarebbe stata punteggiata da due eventi assai significativi. Avendo giurato fedeltà all’Impero francese nel 1810, quando, il 9 giugno 1811, si trattò di celebrare solennemente in Foligno la nascita del re di Roma, il coinvolgimento dell’Accademia fu inevitabile, e a lui fu affidata l’orazione ufficiale di cui si conosce soltanto il titolo: La nascita del Re dei Romani, figlio di Napoleone I° Imperador de’ Francesi. Nel 1815, il 24 dicembre, divenne membro del Collegio dei XII Viri Accademiae Fulginiae Conservandae, fu eletto censore avendo a principe d. Viviano Orfini, alto funzionario pontificio, poi cardinale. Il Nostro apparteneva a casato di estrazione artigianale: un Belardino Belardini, nel 1644, abitava con la propria famiglia nella parrocchia di San Feliciano, nel Terziere di Sotto (dalle parti dell’odierna piazza Don Minzoni, per intenderci); un casato che nel 1828 sarebbe risultato di Secondo Ceto, ovvero dei Nobili di Cittadinanza; un casato che già nel primo Settecento poteva annoverare propri esponenti tra i canonici della Cattedrale, come nel caso di don Tommaso Bernardini, il quale, titolare della prebenda teologale, nel 1722 partecipava alla Sinodo indetta dal vescovo Giosafat Battistelli nella duplice funzione di giudice e di esaminatore sinodale. Il titolo di priore spettava a d. Antonio in quanto capo della Collegiata di Santa Maria Infraportas (vi officiavano dieci canonici con lui), cui faceva capo una parrocchia della quale era parroco. Molto versato nelle scienze matematiche e fisiche insegnò matematica e fisica nel Collegio di San Nicolò inaugurato il 1° settenbre 1810, ed era ancora in funzione il 2 maggio 1814 quando si avviava la Reggenza postfrancese. Sarà molto considerato da Bragazzi che lo dice “assai riputato per dottrina nelle scienze filosofiche e specialmente nella filosofia razionale”, lo declina con il titolo di “esimio”, e segnala che fu professore del celebre matematico e ingegnere folignate Antonio Rutili Gentili, nostro Fulgineo. In effetti, dopo la sua morte avvenuta nel 1821 gli furono tributate solenni onoranze nella sala del palazzo municipale ove avvenivano le accademie pubbliche: fu listata a lutto, vi fu installato un catafalco, fu declinata un’iscrizione, e l’Accademico Giuseppe Bellini tenne la commemorazione ufficiale (che tuttavia non è giunta fino a noi). L’iscrizione recitava: Antonio Bernardino/ Philosopho/ Mathematico/ Famigerato Viro/ Censorius/ Bonae Memoriae/ Accademia Fulginia/ Litterarias inferias persolvit. Fu tra gli autori di poetici serti: Gli amici ammiratori dell’eloquenza del reverendissimo Signore D. Giuseppe Antonini Abate di Collepino che con universale applauso predica l’Avvento in Fuligno sua patria l’anno 1817 OO.DD.CC., al medesimo il presente serto poetico. In Fuligno, Nella Stamperia di Francesco Fofi, [1817]; otto sonetti dei Fulginei: Giuseppe Mancia, Giovanni Rossi, Giuseppe Filippini, Francesco Pizzoni, don Antonio Bernardini.
Dioecesana Sinodusab Illustriss., & Reverendiss., Dño D. Josaphat Baptistello […] Celebrata […] diebus XXI. XXII. & XXIII Junii M. DCCXXII, Mutinae, Soliani, 1724; app. p. 15; G. Bragazzi, Compendio della storia di Fuligno, Fuligno, Tomassini, 1859, pp. 49 e 115; Messini, p. 44; M. Sensi, Visite pastorali della Diocesi di Foligno. Repertorio ragionato, Foligno, Diocesi di Foligno, 1991, p. 310; Lattanzi IV, passim; Lattanzi V, passim; F. Bettoni, B. Marinelli, I Barnabiti “maestri di scuola” in Foligno, in F. Bettoni (a cura di), Lo spettacolare trionfo di San Carlo Borromeo nella Foligno del 1613, Foligno, Il Formichiere, 2013, pp. 238-269. Quanto al palazzetto dove risiedeva, si veda F. Bettoni, B. Marinelli, Foligno. Storia, arte, memorie nel centro antico, Foligno, Edizioni Orfini Numeister, 2018, p. 143.
Biondi don Andrea (notizie 1795-1821), canonico penitenziere del capitolo della cattedrale di Foligno, 10 giugno 1795.
M. Sensi ne dà un breve profilo nella premessa a L. Iacobilli, Vita di san Feliciano martire, vescovo di Foligno insieme con le Vite de’ vescovi successori a esso santo. Seconda edizione con le correzioni dell’Autore e le annotazioni di Andrea Biondi, a cura di M. Sensi, Foligno, Diocesi di Foligno, 2002, p. 13; dette annotazioni (alle pp. 157-187) del Biondi non sono prive di interesse per la storia religiosa e cultuale di Foligno. Al profilo di Sensi potrà aggiungersi che nel 1814, appena restaurato il potere pontificio, fu nel corpo docente del Collegio Comunale in San Carlo insieme al p. Giacinto Armillei, don Antonio Bernardini, don Giuseppe Filippini, p. Camillo Bini, p. Vincenzo Passarini, nonché a Vincenzo Armillei e Giuseppe Scarpellini. Vedi: I Barnabiti “maestri di scuola” in Foligno, in F. Bettoni (a cura di), Lo spettacolare trionfo di San Carlo Borromeo nella Foligno del 1613, Foligno, Il Formichiere, 2013, p. 238; si veda anche M. Sensi, Visite pastorali della Diocesi di Foligno. Repertorio ragionato, Foligno, Diocesi di Foligno, 1991, pp. 153, 154, 156. Ricerche ulteriori potranno chiarire se, come riteniamo, il canonico appartenesse a casato di Secondo Ceto.
Bottacci padre Claudio, p. reggente, 10 giugno 1795.
Bruschelli padre Pasquale da Assisi, minore conventuale. Professore di Eloquenza a Perugia, 10 giugno 1795.
Buratti abate Giovanni, da Trevi, 10 giugno 1795.
C
Calcioni don Pietro, da Foligno, vicario generale a Nocera [Umbra], 25 novembre 1759. Figlio del più noto Antonio, valente intagliatore, se ne hanno notizie a partire dal 1726; nel 1730, risultava titolare di un ginnasio affidato alla direzione del sacerdote Giuseppe Piccinelli. Collegato all’ufficio di vicario generale, deteneva il titolo di protonotario apostolico (extra urbem).
B. Marinelli, Villa Candida a Foligno: una villa borghese, in BSCF, XX-XXI, 1996-1997, p. 469, nota 18. L’attività artistica di Antonio, padre del Nostro, è ampiamente documentata, come si vede da ultimo in: A. C. Filannino (a cura di), Il monastero di Sant’Anna a Foligno. Religiosità e arte attraverso i secoli, Foligno, Edizioni Orfini Numeister, 2010, passim; B. Ricci, La decorazione a stucco degli oratori di Foligno tra Seicento e Settecento, Perugia, Fabrizio Fabbri Editore, 2016; F. Bettoni, B. Marinelli, Foligno. Storia, arte, memorie nel centro antico, Foligno, Edizioni Orfini Numeister, 2018, passim.
Corsini padre Odoardo (1702-65), generale dei Padri delle Scuole Pie, 25 novembre 1759. Filosofo, matematico, idraulico, antichista, glottologo, professore universitario.
Originario di Fanano (Modena), si veda R. Rossi Ercolani (a cura di), Padre Odoardo Corsini. Un fananese del XVIII secolo al servizio della scuola, della cultura della fede, Atti del Convegno (Fanano, 4-5 ottobre 2002), Livorno, Debatte, 2003; ne ha fatto una puntuale recensione M. Forlivesi nella “Rivista di Filosofia neoscolastica”, 96 (2004), pp. 812-816 (scaricabile da internet). Utile tuttora U. Baldini, Corsini, Edoardo (Odoardo), in DBI, 29, Roma, IEI, 1983; sul periodo del suo generalato (1754-60) si cita un saggio di György Sántha, storico degli Scolopi, di cui non abbiamo trovato il titolo né menzione alcuna nel volumetto (scaricabile da internet) di A. Lezáun, Storia delle Scuole Pie. (Manuale), Madrid, Instituto Calasanz de Ciencias de la Educación (ICCE), 2011, manualetto, del resto, che dedica al pur importantissimo Corsini solo qualche (inevitabile) accenno.
Corsetti dottor Francesco (1702-74), sacerdote, rettore del seminario arcivescovile di Siena, 5 gennaio 1760. Arcade (Oresbio Aigieo), era accademico Quirino, Intronato, Fisiocratico, Clementino, Rozzo e, come indicavano i testi dell’epoca, non dimenticava di citarsi Accademico Fulignate. Le memorie lo annoveravano tra i “soggetti tutti bene cogniti alla Repubblica Letteraria”, “tra gli uomini più colti nella sua patria”, insieme a Lodovico Bianconi, Giovanni Girolamo Carli, Giuseppe Baldassarri, Candido Pistoi. In effetti, almeno stando ad un nutrito, sia pur sommario catalogo delle sue opere, ebbe un’attività letteraria, poetica, drammaturgica assai intensa, la quale, iniziata nel 1728 oltrepassò anche la sua vicenda terrena: infatti, nel 1778, ovvero a quattro anni dalla morte, cominciava la pubblicazione di Le opere di Q. Orazio Flacco. Nuovamente tradotte da Francesco Corsetti (t. I, Siena, Pazzini Carli), edizione che rinnovellava una “militanza” di traduttore e chiosatore oraziano iniziata con le Satire (1759, Siena, Bindi), proseguita con le Pìstole (1765, idem) e conclusasi con le Odi, anch’esse, come l’opera omnia in uscita post-mortem (1778, idem). Rettore per 46 anni del seminario arcivescovile di San Giorgio (1728-72), la durata del suo incarico è stata spiegata “con il desiderio di continuità e fiducia” dei presuli; finché, con l’arcivescovo Tiberio Borghesi, ne venne la rimozione: interpretatata non tanto come il frutto inevitabile di un necessario avvicendamento, bensì come conseguenza “della scrupolosa repressione antigiansenista a Siena”. Emerge così un elemento: l’adesione, o, per lo meno, l’attenzione di Corsetti a/nei confronti di quel movimento che si richiamava all’olandese Giansenio (C. O. Jansen, 1585-1638, vescovo di Ypres, Belgio, 1636-39), che aveva avuto in Francia (Port-Royal des Champs, 1634-1708) il suo faro illuminante, e, nell’Italia della prima metà del Settecento, una fonte di riflessione in ecclesiastici di chiara fama culturale come Ludovico Antonio Muratori (1652-1750); tra l’altro, Corsetti era tra gli “associati” a sostegno dell’edizione dei muratoriani Annali d’Italia curata da Giuseppe Catalani (1698-1764), il quale, per Agostino Olzati (Monaco, 1761-64), aveva ripreso in mano la propria precedente fatica critico-editoriale degli anni 1752-1754 (Roma, Barbiellini al Pasquino).
Corsetti (Francesco), voce in L. De Angelis, Biografia degli scrittori Sanesi […], t. I, Siena, Rossi, 1824, pp. 256-261, con bibliografia delle opere; un profilo culturale e in parte biografico era stato già fornito nella lettera-introduzione Aurelio De’ Giorgi ai lettori, in premessa alle Opere di Q. Orazio Flacco (pp. VII-XVII), che si cominciavano ad editare nel 1778 come abbiamo già ricordato. I moderni sfiorano appena il Nostro, almeno stando a ciò che abbiamo acquisito mediante una prima ricerca: M. Sangalli, A sua immagine e somiglianza: Siena e il Seminario arcivescovile 1614-1785, in Idem (a cura di), Il Seminario di Siena da arcivescovile a regionale 1614/1953 – 1953/2003, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003; E. Grassini, Il Seminario senese. Note storiche in occasione del quattrcentesimo anno di fondaziine (1614-2014), www.academia.edu. Sul “giansenismo” (il virgolettato è d’obbligo) di Muratori, si legga C. Donati, Mondo nobiliare e orientamenti politici e culturali nella Brescia del tardo Settecento, in P. Corsini, D. Montanari (a cura di), Pietro Tamburini e il giansenismo lombardo, Brescia, Morcelliana 1993, p. 82.
Chigi don Sigismondo (1736-93), Roma, principe, 28 settembre 1761. Vita complessa e per certi versi avventurosa fu quella del nobile romano di antica origine senese; ometteremo tutti i titoli nobiliari, per citare solo l’onomasticon in Arcadia: Astridio Dafnitico. Un breve profilo pubblicato nel 1824 lo segnalava quale “principe romano di grande ingegno, e di estesissime cognizioni. Mecenate splendido”. I moderni, mutatis mutandis, non si discostano da questa valutazione di fondo.
A. Fiori, Ghigi, Sigismondo, in DBI, 24, Roma, IEI, 1980; questa è chiaramente la (non dichiarata) base della voce relativa a Sigismondo scritta da S. Franchi, L. Osbat, Chigi-Famiglia, in Gente di Tuscia, 2017, www.gentedituscia.it> Per la citazione del 1824 si veda, L. De Angelis, Chigi Sigismondo, in Biografie degli scrittori Sanesi […], Siena, Rossi, 1824, ove si segnalano: la precocissima Lucis Theoria (1752); e il tardo poema Dell’Economia naturale e politica. Libri due, Parigi, Valade, 1781; al 1752 era da ascrivere anche lo Specimen phisicae sperimentalis.
Corbo dom Luigi, Subiaco, Congregazione benedettina cassinese, 28 settembre 1761.
Casavecchia abate Evangelista (sr), da Foligno, 17 dicembre 1761. Sull’abate, nessuna notizia al momento; tuttavia lo si può collegare al casato di cui alla voce, infra, Casavecchia Mariano.
Chiacchiolini padre Benizio, servita, maestro a Viterbo, 22 gennaio 1762.
Crisolini conte Domenico, consigliere cesareo in Santa Sofia di Toscana, 22 gennaio 1762.
Costanzo Pier Lodovico di, Congregazione benedettina cassinese, 2 settembre 1762.
Cesini priore Luigi (not. 1767-1819), segretario dell’Accademia degli Umbri, fu aggregato alla Fulginia il 1° marzo 1767. Fu anche membro del Collegio dei XII Viri dell’Accademia degli Ergogeofili fondata da don Domenico De Rossi e inaugurata il 29 settembre 1784. Originario della frazione altocollinare di Scopoli, ove la sua famiglia deteneva un mulino idraulico per i cereali, era priore e parroco della collegiata di Santa Maria in Spello. Durante l’annesione di Foligno all’Impero francese fu deportato (1810) in Corsica. Con il fratello Nicola e relativa famiglia era proprietario dell’immobile in via Montogli (oggi Gramsci nn. 67-69), sulla fronte del quale si vedono tuttora frammenti architettonici forse provenienti da un monumento funerario di età romana-imperiale. Si segnalano: Componimenti poetici per le faustissime nozze de’ nobili signori Caterina Roncalli Benedetti da Fuligno e Fabio Plebani dalla Mandola. In Fuligno, Per Francesco Fofi Stampator Vescovile, e del S. Offizio di Spoleto, 1767; dodici sonetti di autori i cui “sentimenti sono cattolici, ad onta dell’espressioni che servono alla vaghezza della poesia”: con Cesini, figurano Antonio Paolucci, Paolo Onori, Girolamo Paolucci, Gaspare Maria Fucci, Dasmonte Scepsio, Vincenzo Guerrini ed altri indicati con sigle. Inoltre: Canzone recitata nell’adunanza della Società Letteraria degli Umbri del sig. abate Luigi Cesini Segretario della Società Letteraria degli Umbri, in Ragguaglio del pubblico e solenne ingresso di Monsig. Illmo e Rmo Gaetano de’ Conti Ginanni Patrizio Ravennate, e Vescovo della Città di Foligno il dì 5. aprile 1778. Offerto a sua Signoria Illma e Rma dall’Ab. A[lessandro] B[arnabò]. In Foligno, Per Pompeo Campana Stamp. Vesc. e Pubbl., 1778.
Ergogeofili, p. 202; F. Bettoni, Strutture produttive nella città e nel territorio di Foligno alla fine del Settecento, in BSCF, XVI, 1992, p. 176; Bettoni, Nobili, 1997, n. 55; Lattanzi, IV, pp. 286; baldaccini-Menihelli, ad vocem. L’immobile di cui sopra era appartenuto ai Benedetti, quindi ai Colombi, si veda B. Marinelli, Delle dimore della famiglia Benedetti, in BSCF, XIX, 1995, pp. 589-594
Cimarelli don Antonio, da Foligno, 1° marzo 1767. Apparteneva ad una stirpe di “negozianti”, originari della pianura folignate (Corvia? Scafali?), poi residenti, almeno dalla prima metà del Seicento, nei pressi della piazza di Santa Maria Infraportas, così connotanti da incidere con il loro cognome sull’odonomastica: ancora nel 1799, infatti, si attestava il vocabolo Strada di Cimarelli che nei primi anni del secolo successivo sarebbe diventata via Catalena (come tuttora); peraltro, nella chiesa collegiata dell’Infraportas, erano titolari dell’altaristato laicale di San Sebastiano. Dotati di stemma araldico, disponevano anche del palchetto al teatro dell’Aquila, sito nel palazzo del Governatore (già Trinci); con il 1776, e l’acquisto del sedile n. XXXVIII al maneggio dei Canapè (a nome di Domenico Cimarelli), si completava il profilo di un gruppo parentale che viveva more nobilium, pur non avendo mai oltrepassato il grado della Cittadinanza, o Secondo Ceto. I dati di cui disponiamo indicano, nel 1713, la rigogliosa esistenza della Ragione “Antonio Cimarelli F.lli & C”; il che significa che le radici erano state poste da un Antonio, cui daremo il numero genealogico di I°, il quale, figlio di un Angelo (I), per noi è soltanto un nome, giacché nel ’13, detto Antonio I°, aveva ormai ceduto il passo ad un Angelo (II) che sarebbe rimasto al timone della Ragione almeno per buona parte degli anni 1740 (nel ’47 lo si indicava ormai morto). Verisimilmente Angelo (II) di Antonio (I) fu il perno delle fortune economiche dei Cimarelli. Oltre che titolare ereditario della Ragione commerciale prima indicata, nel 1713 aveva fatto Società di Negozio di Drogheria e Ferrareccia con Bernardino Bernardini, il quale si associò nelle vesti di complimentario ovvero di gestore effettivo del Negozio. Nel frattempo, stando a dati del 1739, era noto che la bottega di esercizio della Drogheria e Ferrareccia era tenuta in affitto, e ne era proprietario Giacomo Filippo Maggi; che la bottega tenuta in affitto a Farfa, importante centro fieristico nel Reatino, apparteneva ai Poggi; e che, già dal 1726, sempre i Poggi avevano dato in affitto alla Cimarelli per la lavorazione della cera il proprio orto sito in contrada Madonna di Santa Lucia; altra bottega in affitto la si teneva in Civitavecchia. La Ragione, formalmente, sarebbe rimasta in vita fino al 1807, ma l’effettiva presenza dei Cimarelli non avrebbe oltrepassato il 1799.
Se, almeno per il momento, non sappiamo chi fossero stati i fratelli del primo Antonio, e gli eventuali fratelli di Angelo (II, di detto Antonio I), di costui conosciamo i figli: Sebastiano Pio, Pietro, Domenico, Cristoforo, e il nostro don Antonio (II). Ma non va dimenticata Ancilla, la quale nel 1703 si congiungeva in matrimonio con Giustiniano Pagliarini, notaio, pastore arcade, fondatore dell’Accademia dei Rinvigoriti; insieme, avrebbero influenzato la discendenza di Cristoforo come si vedrà infra, alla voce Cimarelli Pagliarini Giovanni. A partire dal 1747, Sebastiano Pio ci sembra fosse stato il primus inter pares. Atti pubblici della fine del secolo, precisamente del 1798, intestavano però a Domenico e Cristoforo la titolarità della saponara in via degli Animali (oggi via Giustiniano Pagliarini) che ab antiquo aveva formato il perno “industriale” della Ragione Cimarelli formalmente sempre legata alla denominazione Antonio (I) & C. Stando ad altri atti pubblici dello stesso periodo, compilati tra il 1796 e l’anno 1800, nel ’96 la saponara era funzionante, e, ad intestarla, si scriveva soltanto Cimarelli: basandoci sui dati del ’98, presumiamo ci si riferisse a Domenico e a Cristoforo; i medesimi atti davano inoperoso l’opificio nel successivo triennio 1797-1800, collegando in questo caso la titolarità aziendale a Cimarelli & Seracchi. Nel mentre notiamo che di botteghe dei Nostri in Foligno e in altri luoghi, nonché della cereria alla Madonna di Santa Lucia non v’erano più tracce, facciamo osservare che le titolazioni aziendali indicate, contrastanti a prima vista, avevano tutte una loro validità. Dal 1774, infatti, la Cimarelli era stata gestita non direttamente dai suoi proprietari Cimarelli ma mediante un’accomandita dagli stessi stipulata con la Società Mari, Burda & Paolucci (e in tale “regime” sarebbe rimasta fino al 1805); detti tre soci, sempre nel 1774, avevano assunto in società con i fratelli Piermarini (tra cui l’architetto Giuseppe il quale, in quel momento, si stava dedicando tra le altre imprese alla costruzione dei palazzi milanesi dei Belgioioso e dei Greppi) l’accomandita della Ragione Seracchi, di cui allora erano proprietari i fratelli Claudio (il fulgineo di cui alla relativa voce nel sito, Sezione Storia 1-I Fondatori) e il fratello Francesco; una volta morti i due fratelli Seracchi, era subentrata Eleonora Felice, figlia di Francesco e moglie (1770) di Cristiano Rossi, la quale sarebbe rimasta in attività fino alla fine dei suoi giorni (1813). Dunque era plausibile che in atti pubblici concernenti il medesimo oggetto ovvero la già menzionata saponara, atti stesi in situazioni distinte sul piano amministrativo ma contemporanee tra di loro, s’indicassero titolarità patrimoniali diverse solo in modo apparente. Nella fattispecie, l’anello di congiunzione essendo non tanto gli accomandanti, rispettivamente i Cimarelli e i Seracchi, ma i gestori accomandatari, ovvero i soci Mari-Piermarini collegati per un verso e/o per l’altro sia ai Cimarelli sia ai Seracchi. Talché, nella brevità di scrittura che a volte caratterizzava i documenti la cui stesura non è escluso risentisse di modalità allusive connesse al fatto che si riferivano ad “oggetti” noti, si potevano citare i Cimarelli e i Cimarelli & Seracchi indifferentemente. Tant’è, ad esempio, che nel 1787, l’elenco dei ceraioli folignati redatto dal giureconsulto Vincenzo Piermarini (in quel momento vice-governatore di Foligno) per il Congresso Accademico di Roma, aveva dato i soli Saracchi, senza riferimento ai Cimarelli, insieme ai Brunetti, Girolami, Pizzoni, Polinori, Maccari, Crisci, Laorenti, Martinangeli.
Occorre tuttavia notare che tra il 1747 e l’anno 1800, erano intervenuti non pochi eventi societari e finanziari cui, in questa sede, possiamo soltanto accennare. In primo luogo va rimarcata come fatto singolare la titolarità di Cristoforo nel ’98, giacché nel 1752 si era trasferito a Roma, e aveva ceduto in accomandita ai fratellli la propria quota onde, senza dismetterla e senza troppe fatiche, lucrarne un “frutto” annuale; è possibile che alla fine del secolo avesse riacquisito la partecipazione diretta nell’azienda? Sembrerebbe di sì. Dal canto suo, Sebastiano Pio, ad un certo momento che ignoriamo e per ragioni che non conosciamo, cominciò a cognominarsi Cimarelli Picarelli Maiotti: di Picarelli non sapremmo dire alcunché, di Maiotti sappiamo soltanto che dal 1819 e fino ad oggi questo cognome designa una viuzza ortogonale alla via della Fiera (oggi corso Cavour); in un caso e nell’altro, i due cognomi aggiuntivi dovevano trainare con sé implicazioni ereditarie e finanziarie. Di Pietro non sappiamo alcunché. Domenico dovrebbe aver mantenuto il solo cognome Cimarelli. Una scrittura privata del 20 giugno 1801, dava già defunti Cristoforo, Sebastiano Pio e Domenico. Tra il 1805 e il 1807, la Ragione Cimarelli chiudeva i battenti. I figli di Sebastiano Pio, Angelo (III) ed Antonio (III) se n’erano andati in quel di Sarnano, un piccolo centro nelle Marche appenniniche; lì, Antonio avrebbe avuto ruoli eminenti: l’8 luglio 1808, stante l’incorporazione delle Marche nel Regno Italico, veniva nominato podestà di Sarnano dal vice-re Eugène de Beauharnais. A loro volta, anche i figli di Cristoforo, Ferdinado da Roma e Giovanni da Foligno davano il loro tributo alla chiusura. Quanto, delle vicende sommariamente delineate, avesse visto partecipe il nostro accademico don Antonio, non è dato sapere: almeno fino a questo momento. Sta di fatto che non lo troviamo negli elenchi di ecclesiastici, innumerevoli e sistematici, redatti al tempo della Foligno imperiale (1809-14).
F. Bartocci, G. Metelli, La lavorazione delle cere a Foligno. La cereria Vitali, in BSCF, XIV, 1990, p. 605; F. Bettoni, Strutture produttive nella città e nel territorio di Foligno alla fine del Settecento, in BSCF, XVI, 1992, pp. 161-177; M. Squadroni, L’archivio delle famiglie Seracchi-Rossi e Rossi-Montogli di Foligno. Inventario, ivi, 109-160; M. Morena, Il Congresso Accademico Romano e la redazione del Catalogo delle manifatture dello Stato pontificio (1787), Roma, Archivio di Stato, 1997, p. 128; Lattanzi, IV, passim; Lattanzi, V, passim; F. Bettoni, B. Marinelli, Un documento per la storia sociale ed economica di Foligno: la “Nota delli Fuochi et Anime” del 1644, in BSCF, XXIII-XXIV, 1999-2000, p. 100, nn. 156 e 160; G. Metelli, L’esercizio della aromateria a Foligno in età moderna come rilevante fattore di promozione sociale, in PR, XXX, 2007, 59, p. 193; Lattanzi-Rodante, Cimarelli; documenti inediti fornitici da Bruno Marinelli, accademico Fulgineo. Infine, su Ancilla: Per le felicissime nozze de signori Giustiniano de Pagliarini et Ancilla de Cimarelli. In Foligno, Nella Stamperia di Francesco Antonelli, 1703, si tratta di un’ode, siglata in fine da C.P., reperibile alla comunale di Foligno; Il Tinna giolivo, Nelle felicissime nozze de’ signori Giustiniano Pagliarini et Ancilla Cimarelli di Fuligno, 1703, alla Biblioteca Comunale Augusta di Perugia.
STEMMA CIMARELLI
Campello della Spina conte Paolo da Spoleto, 27 febbraio 1774. Nel 1762 il nostro Paolo era segretario dell’Accademia degli Ottusi in Spoleto; arcade, aveva il nome di Logistide Ippomedonteo. Figlio di Bernardino (1687-1755, Verindo Tueboade, in Arcadia) di Paolo, il Nostro fu padre di Bernardino (1766-1818), e nonno di Paolo (Ω 1824) e di Pompeo (1803-84) il quale compose Elegia e sonetti di Pompeo di Campello in morte di Paolo suo fratello, Spoleto, Bassoni, 1824 (consultabile alla Comunale “Carducci” di Spoleto); quest’ultimo e il di lui figlio Paolo (1828-1912) sarebbero stati protagonisti di primo piano delle vicende politiche e culturali umbre.
G. Gasperoni, Movimento, pp. 163-164; Baragetti, pp. 231, 409. Per il contesto parentale del nostro Accademico, A. Ciuffetti, Una famiglia nobile tra affermazione del suo potere e declino cetuale. Evoluzione dinastica, dinamiche patrimoniali e carriere dei Campello di Spoleto dal Cinquecento all’Ottocento, in “Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Perugia”, Studi storico antropologici, I, XXXI-XXXII, 1993-94/1994-95, pp. 139-177; Idem, Dinastie aristocratiche e borghesi in Umbria tra Otto e Novecento, in Nobili e Borghesi nel tramonto dello Stato Pontificio, numero monografico a cura di G. Nenci, in “Roma Moderna e Contemporanea”, 2008, 1, pp. 191-192; su Bernardino, figlio del Nostro, si diffonde F. M. Troiani, Una famiglia della nobiltà pontificia tra Rivoluzione e Restaurazine, in BDSPU, CIV, 2008, 1, pp. 201-222; sul nipote Pompeo di Bernardino, F. Mazzonis, Pompeo di Campello, in DBI, 17, Roma, IEI, 1974; a sua volta, Paolo di Pompeo, scrisse una Storia documentata aneddotica di una famiglia umbra, 3 voll., Città di Castello, Lapi, 1899-1915, che si legge con estremo interesse. Infine: A. Stramaccioni, L’Umbria dal 1861 al 1992. L’Umbria tra Ottocento e Novecento, Foligno, Il Formichiere, 2017, p. 54; M. Aiani, Terra e politica. Ceti dirigenti in Umbria dall’Unità al fascismo, Foligno, Il Formichiere, 2018, pp. 232-233.
Crispolti barone Giuseppe (Ω 1809), da Perugia, 27 febbraio 1774. Apparteneva ad un casato di rango elevato in Perugia e in Bettona. Una letteratura piuttosto copiosa non ha chiarito dove rinvenire le “radici” della stirpe, se nell’una o nell’altra realtà territoriale, ma pensiamo si debbano ricercare nella piccola terra in capo alla Valle Umbra, ove i Crispolti figuravano in ruoli istituzionali eminenti già nel 1222. Tra alterne e cruente vicende, il radicamento bettonese dei Crispolti non sarebbe venuto mai meno, anzi fu rafforzato da successivi interventi papali il primo dei quali, intorno al 1427, concesse in godimento economico un vasto territorio posto nella Valle del Fiume Puglia tra Bettona e Todi, caratterizzato dal castrum di Preci; e da un secondo breve del 1448 con il quale ottenevano in feudo baronale il castrum di Pomonte, oggi nel Comune di Gualdo Cattaneo; nonché dall’acquisto, nel 1453, del vasto tenimento di Sorgnano. Tra i cospicui segni della presenza bettonese-perugina dei Cripolti, va segnalata la grande villa del Bucaione in Bettona che si vuole costruita su disegno di Giuseppe Piermarini, con il quale il nostro Barone sarebbe entrato in contatto negli anni 1768-72, tramite Piermarino e Francesco Antonio fratelli dell’architetto folignate.
Fondamentale è il volume di F. Guarino e L. Londei, Pomonte castello dell’Umbria, Bastia Umbra, Associazione “Venturo Tempori”/Archivi in Valle Umbra, 2004 (“Diversità del Passato”, 3); ad esso, va affiancato E. Lunghi, Memorie di Bettona di Pietro Onofri. Vita civile e religiosa di una città dell’Umbria al tempo dell’Impero napoleonico, Foligno, Il Formichiere, 2016. Rilevanti riscontri sono presenti nei contributi di N. D’Acunto e M. Ranocchia presenti nei due tomi di F. Santucci (a cura di), Bettona. Territorio, folklore, letteratura, arte, Assisi, Accademia Properziana del Subasio, 2004. Sulla celebre villa bettonese: A. R. Sartore, La villa del Bucaione a Bettona. Un’architettura piermariniana nella campagna umbra del Settecento, Borgo San Lorenzo-Firenze, Edizioni Noferini, 2017.
Cerasi padre Domenico, barnabita, professore d’Eloquenza, 11 marzo 1776.
Cantagalli cav. Vincenzo, di Foligno, 2 aprile 1778. Figlio di Francesco e di Costanza Vitelleschi, nel 1775 era entrato nel Consiglio comunale. Cavaliere del Sovrano Militare Ordine di Malta, al momento della sua aggregazione accademica era detentore di titolo comitale. Coniugato con Grazietta, della quale resta incerto il cognome (Luzi?), aveva generato Ottavia e Palmira. Ottavia avrebbe sposato il patrizio Costantino Orfini andando ad abitare in piazza Grande (oggi della Repubblica), di Palmira diremo infra, alla voce Giberti Mattoli marchese Carlo. Quando abbiamo scritto di Olimpia/Aloisia Cantagalli e del padre Filippo, all’interno della voce su Barugi Girolamo (supra), abbiamo ricordato che nel 1754 Filippo era cavaliere di giustizia dell’Ordine Gerosolimitano e condivideva il titolo con il fratello Francesco Giuseppe, canonico; insieme agli altri tre fratelli, Francesco, Cosimo e Feliciano, i cinque erano proprietari dal 1745 di una “tenuta o possessione cospicua”, posta al vocabolo la Fossa Renosa o Ponte delle Tavole, nei territori di Foligno e Bevagna, vicino al villaggio che tuttora si denomina Cantagalli. Il fondo, unitario, si estendeva per 33 ettari, gli si assegnava un valore di circa 12 mila scudi con una rendita di 400 scudi all’anno. Un chirografo di Benedetto XIV del 6 aprile 1757 avrebbe eretto la possessione a contea, con il privilegio di fiera. La monacazione di Olimpia/Aloisia si poneva dunque in una fase di passaggio nelle fortune dei Cantagalli; casato che nel ramo dei cinque fratelli vantava ascendenze patriziali già in essere al 1472 quando era certificata l’avvenuta ascrizione all’Ordine del Priorato folignate. Olimpia/Aloisia, dal canto suo, sarebbe diventata abbadessa del monastero clariano di Santa Lucia, e come tale nel 1800, in coincidenza con il rientro a Roma del papa Pio VII appena eletto nel conclave di Venezia, si premurava a che i sovrani savoiardi Carlo Emanuele IV e la moglie Maria Clotilde di Borbone fossero degnamente ospitati in palazzo Vitelleschi, del quale al momento erano proprietari il marchese e cavaliere gerosolimitano Traiano e la moglie Palmira Cantagalli, nipote dell’abbadessa in quanto figlia del di lei cugino primo Vincenzo nostro accademico Fulgineo.
M. Faloci Pulignani, Lettere di Maria Clotilde, regina di Sardegna alle monache cappuccine di S. Lucia di Foligno, Foligno, Campitelli, 1886; B. Lattanzi, Cavalieri folignati, in BSCF, VIII, 1984, p. 416; Bartoli-Lattanzi, p. 134; B. Lattanzi, La nobiltà folignate, in BSCF, XI, 1987, p. 147, l’anno 1473 va modificato in 1472; A. E. Scandella osc., G. Boccali ofm. (a cura di), Ricordanze del monastero di S. Lucia osc. In Foligno […], Assisi, Edizioni Porziuncola, 1987, p. 269, n. 421; F. Bettoni, B. Marinelli, La “Description de la ville de Foligni”: città e ceto nobile tra Sei e Settecento, in BSCF, XIII, 1989, pp. 339-340, 346-347, 354; B. Lattanzi, Storia di Foligno, III/II, Roma, IBN Editore, 2000, p. 143; R. Tavazzi, I monasteri femminili a Foligno (sec. XIII-XVII), in BSCF, XXIX-XXX, 2005-2006 [ma 2008], pp. 47-48; Idem, Per le campagne amene. Itinerari cicloturistici nella pianura di Foligno, Spello-Foligno, Dimensione Grafica Editrice, 2011, pp. 102-103. Per la divisa araldica: Bartoli-Lattanzi, p. 134; Coronelli, p. 30; Marinelli, 2014, n. 47, pp. 320, 321; Lattanzi-Rodante, ad vocem.
STEMMA CANTAGALLI
Casavecchia Mariano (1759-v. 1813), da Foligno, 2 aprile 1778. Di casato originario di Camerino (Marche), trapiantato in Foligno nel 1628, anno nel quale il primo Mariano della serie genealogica folignate assumeva la condotta chirurgica; il 22 febbraio 1635, veniva eletto dalla Magistratura magister ludilecterarius, ovvero maestro delle pubbliche scuole, insieme a Riccardo Pontano. Nel marzo del 1644 dichiarava 45 anni di età, risultava coniugato con Caterina Barnabò, della ben nota casata patrizia, la quale aveva 35 anni e gli aveva dato fino a quel momento 5 figli tuttora viventi. Tra questi, Felice di 8 anni d’età. Un secolo dopo, nel 1744, un Felice (II), padre di Giuseppe e nonno del nostro Mariano, accedeva al grado di Consiglio, facendo diventare il proprio un casato patriziale. Nel 1644, i Casavecchia risiedevano nel rione Mora, ed erano vicini al palazzetto, se non addirittura interni, al palazzetto ove abitava Giovanni Antonio Cantagalli, palazzetto che tuttora reca sul portale cinquecentesco lo stemma dei Cantagalli (un Gallo) in via della Misericordia, n. 5, ritenuto sede originaria di quel casato, a sua volta contiguo all’oratorio omonimo; ortogonale a quest’ultima strada e fiancheggiando il detto palazzetto, si snoda via Casavecchia (“via di Casavecchia” nel catasto urbano del 1834), odonimo che veniva stabilizzato all’inizio del Novecento. Intorno alla metà del Settecento o subito dopo, i Casavecchia entravano in possesso di un palchetto al teatro dell’Aquila (inaugurato nel 1749), e di un sedile ai Canapè (Giuseppe), il maneggio inaugurato nel 1776 per le “cacce ai tori”, le gare equestri, e gli spettacoli di arte varia. Sempre nel secondo Settecento, poterono annoverare due canonici della cattedrale di San Feliciano: don Carlo, il quale dal 6 settembre 1797 vantava un credito nei confronti del Comune di Foligno di 600 scudi al tasso del 5 per cento, in grado di fruttargli 30 scudi all’anno e nel 1801 era membro della Congregazione Economica municipale preposta a fronteggiare una congiuntura che non fu delle migliori nella storia di Foligno; e don Pietro, il quale nel 1810 prestò giuramento di fedeltà all’Impero francese. Chiesa madre, quella di San Feliciano, nella quale, prima del massiccio intervento di ristrutturazione avviato nel 1770, i Casavecchia erano titolari di uno juspatronato incardinato nella cappella di San Luca o della Madonna della Rosa o della Madonna del Fiore. Se a tutto ciò colleghiamo la divisa araldica, troviamo nei Casavecchia un completo profilo di carattere patriziale. Ciò non impedì loro di partecipare agli eventi che videro il vento di Francia spirare impetuoso dalle nostre parti tra Prima Repubblica Romana, la Giacobina (1798-99), e Primo Impero napoleonico (1809-14).
Gli studi fin qui svolti, danno notizia di Mariano dal 1799, e con più nettezza dal 1809, giacché sullo scorcio del Settecento era stato il padre Giuseppe ad occupare la scena pubblica per conto dei Casavecchia. Nel 1799, Giuseppe aveva 70 anni, così dagli elenchi ufficiali di coloro che si dichiararono pubblicamente “civici”, cioè partigiani della Prima Repubblica Romana, la Giacobina. Come il padre Felice, Giuseppe fu consigliere del Comune: di lui si segnalava lo status nobiliare anche in età repubblicana; fu numerario del Numero dei XX (1802), l’alta Magistratura comunale cui competeva affrontare le questioni straordinarie, e figurò nella lista dei 600 cittadini più tassati all’interno del Dipartimento del Trasimeno, la provincia nella quale era stato configurato il territorio di Foligno durante l’incorporazione alla Francia. Nel 1799 si scriveva in atti pubblici che il figlio Mariano aveva 54 anni, il che ne condurrebbe la nascita al 1745, ma, in documenti ufficiali del 1812 leggiamo che era nato il 24 luglio del 1759 e gli si davano 54 anni di età. Ogni commento sull’attendibilità di questi dati è superfluo se non controllati ulteriormente; ma tendiamo a dare valore alla seconda versione, salvo verifica su altre fonti anagrafiche da esaminare. Comunque, in età imperial-napoleonica, Mariano appariva ormai come l’esponente primario del casato: infatti era l’unico dei Casavecchia che nel 1811 veniva elencato nella Liste de Cent plus fort Contribuables de la Commune de Foligno. Nei citati atti del ’12 se ne declinava il profilo di un vedovo, padre di tre figli, possident, negociant, Juge Tribunal (riteniamo con riferimento al Tribunale di Dogana) specificando, nelle relative Observations, essere negociant tres commode attaché au present Gouvernement. Dunque, attaché: ma subito si aggiungeva: sans influence sur la Population. In termini di commodité economique non era tra i primissimi stimandosi la revenu annuale in 2.900 franchi, e il montant contributif attestandosi a 351,45 franchi: ma vi era chi nella graduatoria della ricchezza (stimata) occupava livelli inferiori al suo. Quanto all’essere attaché, basti dire che nel 1813 concorreva con 1000 franchi alla spesa (distribuita sull’intera compagine imperiale) per la formazione dei reggimenti della Guardia d’Onore di Napoleone; e il 9 novembre1813, la tragica sconfitta di Napoleone a Lipsia in Sassonia risaliva alla seconda metà di ottobre, firmava con l’intero Consiglio comunale (anche in questo caso in sintonia con un percorso di solidaristico encomio promosso dall’alto e da ottemperarsi per tutto l’Impero), un indirizzo d’omaggio all’Imperatrice Maria Luisa reggente imperiale dal 30 marzo. Nell’indirizzo si sottolineava, quale motivazione locale specifica della civica riconoscenza, la munifica concessione sovrana di un Tribunale di Dogana e di un Tribunale di Commercio. Verosimilmente in quel periodo mantenne la funzione di ricevitore municipale delle imposte che aveva assunto nel 1809; in linea con questa “inclinazione” fiscale, sempre nel 1811, risultava membro della commissione preposta al Riparto della tassazione; e non è da escludere che già, come si sarebbe visto nel 1813, fosse cassiere del Monte di Pietà. Il vorticoso avvicendarsi di commissioni e deputazioni che caratterizzava da sempre la vita economico-amministrativa di Foligno (ma non solo), soprattutto in periodi particolari come quello della lunga fase che dall’età rivoluzionaria di fine Settecento giunse alla restaurazione post-napoleonica, rendeva di somma rilevanza le congregazioni preposte alla logistica militare ed ospitaliera, continuo essendo il passaggio di truppe assai rilevanti dal punto di vista numerico: ad esempio, nel 1810, lo si designava per la deputazione agli Alloggi militari. Il complesso meccanismo istituzionale ed elettorale di quella fase, prevedeva vari livelli di partecipazione (selezionata-selettiva) della cittadinanza; qui dobbiamo limitarci a ricordare che nel 1813 fu uno dei presidenti delle sette sezioni nelle quali si svolsero (16-30 agosto) le elezioni per le Assemblee cantonali (oggi diremmo comunali); nel 1812, peraltro, era stato inserito nella Liste des Candidats indiqués pour le Prefect du Trasimène pour les Places vacantes des Electeurs d’arrondissement dans la Commune de Foligno. Arrondissement de Fuligno, risultando eletto – con un buon numero di suffragi – elettore di Cantone (Foligno), elettore di Circondario (arrondissement di Foligno, capoluogo, sede di Sottoprefettura) e consigliere comunale, uno dei cinque segnalati come nobili su 12 consiglieri spettanti alla Municipalità.
Si è letta la qualifica di possidente e negoziante del Nostro. Alla fine del Settecento, sotto la titolarità di Giuseppe, ma con l’amministrazione di Mariano, si segnalavano: un mulino nelle pertinenze di Vescia; e, nei pressi della porta Romana in vicolo Malborghetto (oggi vie Istituto Denti/ Borghetto), una “nuova fabbrica non compìta fatta fare per uso di fabricare cremor di tartaro”. Ignoriamo se detto opificio sia stato mai attivato, ma notiamo che non se ne dava l’esistenza nelle molte inchieste realizzate durante l’incorporazione di Foligno nel Primo Impero. Notiamo, altresì, che nel 1834, comunque fossero andate le attività economiche intraprese fino a quel momento, la partita catastale di Nerio, figlio di Mariano e consigliere comunale nella quota riservata ai nobili, includeva un mulino di probabile destinazione olearia, in vocabolo Molino di Gregori, nelle pertinenze territoriali della frazione collinare di Uppello; e non è da escludere si debba identificare con quello che crca trent’anni prima era indicato in Vescia, giacché, se come pensiamo l’impianto fosse ubicato in contrada Navello, vicino alla cospicua tenuta dei Degli Onofri Mazzagalli Moretti, si poteva ascriverlo nelle pertinenze di ambedue i villaggi segnalati. Con il mulino in campagna, si contavano una stalla in via di Casavecchia in dipendenza dell’omonima casa già Cantagalli, due magazzini in via della Madre Paola in funzione del palazzo di residenza che si affacciava e tuttora si affaccia su piazza San Salvatore (oggi Garibaldi, n. 98). Quanto all’assetto patrimoniale di Nerio e ai relativi valori capitali: il valore dei beni economici negli anni 1833-34, si attestava sui 475,50 scudi, ponendo il Nostro al quinto gradino nella scala patrimoniale dei sedici omologhi di grado; il valore catastale dell’urbano ascendeva a 987,50 sc., settimo nella graduatoria; il valore del rustico a 4.118,89 sc., settimo gradino nella scala; l’estensione fondiaria attestandosi sui 43 ettari, lo collocava all’ottavo gradino. Ma nella tripartizione consigliare allora vigente (dal 1833), vi erano consiglieri de i due ceti non nobili che erano molto dotati di ricchezza (Giuseppe Candiotti, Stefano Mancini, Gregorio Onori Piermarini, Angelo Trasciatti), ragione per la quale, calcolando il patrimonio di Nerio sull’insieme patrimoniale dei tre ceti rappresentati dai quarantotto membri del Consiglio Comunale, il figlio di Mariano sarebbe sceso di gradino ulteriormente. Mariano aveva anche una figlia, Maria, la quale, il 21 novembre 1814 convolava a giuste nozze con Luca Lezi Marchetti Parissi recando con sé una dote di 4.750 scudi, e inserendosi così nelle vicende di una delle famiglie più facoltose di Foligno tra Sette e Ottocento.
G. Metelli, Spigolature d’archivio: la quadreria Roscioli, le cappelle e gli artisti nella cattedrale di Foligno, in BSCF, V, 1981, pp. 170 e 184; F. Bettoni, Gli orti nella città. Un aspetto della storia economica e del paesaggio urbano di Foligno, in BSCF, X, 1986, p. 471; G. Metelli, Il regime oligarchico di Foligno dall’ascesa alla decadenza, in BSCF, XIII, 1989, p. 292, nota 20, p. 316, nota 89; F. Bettoni Strutture produttive nella città e nel territorio di Foligno alla fine del Settecento, in BSCF, XVI, 1992, pp. 165 e 176; P. Nobili, L’organizzazione economica dello spazio urbano di Foligno, sulla base del Catasto gregoriano, tesi di laurea relatore A. Grohmann, Perugia, Università degli Studi, Facoltà di Scienze Politiche, Indirizzo storico-politico, a.a. 1993-94, Tabella B, in vol. I,e tabelle 11 e 14 in vol. II; B. Marinelli, I rioni di Foligno. Tradizione e storia, Foligno, Associazione Orfini Numeister, 1994, p. 119; B. Lattanzi, Storia di Foligno, III/II, Roma, IBN Editore, 2000, passim; F. Bettoni, B. Marinelli, Un documento per la storia sociale ed economica di Foligno: la “Nota delli fuochi et anime” del 1644, in BSCF, XXIII-XXIV, 1999-2000, p. 39, n. 118; Lattanzi, IV, passim; Lattanzi, V, passim. B. Marinelli, I Lezi-Marchetti: ascesa e declino di un casato folignate, testo inedito di pubblicazine imminente. Sulla divisa araldica: Bartoli-Lattanzi, p. 140, n.117; Marinelli, 2014, oggi lo stemma nella sala delle Armi del palazzo Comunale, oggi lo stemma non è più visibile. Sul patrimonio immobiliare: P. Pambuffetti, Il palazzo Cantagalli, in “Gazzetta di Foligno”, LXXVIII, 1962, n. 43; F. Bettoni, P. Nobili, Residenze folignati tra Sette e Ottocento, in Residenze folignati, Foligno, CaRiFo, 1997, nn. 12 e 113; F. Bettoni, P. Nobili, L’odonomastica storica del centro antico di Foligno, ad vocem, consultabile a richiesta presso Bettoni; Bettoni-Sturm, n. 14; Bettoni-Marinelli, 2018, pp. 123 (Cantagalli-Casavecchia), 77 (Casavecchia, già Atti – Cibo – Orselli, oggi Clarici).
STEMMA CASAVECCHIA
Ceccarelli don Stanislao (not. 1790-1810), maestro nel seminario di Foligno, 14 settembre 1790. Canonico ad honorem della cattedrale di Foligno, nel 1810 giurò fedeltà alla Francia del Primo Impero.
Lattanzi IV, passim.
Casavecchia Evangelista jr, da Foligno, 4 marzo 1795.
Carucci p. Gabriele, da Spello, frate minore conventuale, 10 giugno 1795.
Casavecchia Pietro, da Foligno, 10 giugno 1795. Dovrebbe trattarsi del canonico Pietro, fratello di Mariano, il quale, insieme a Vincenzo, altro fratello presenziava il 19 novembre 1814 alla stesura dell’atto di matrimonio tra la nipote Maria di Mariano (dotata di ben 4.750 scudi), e Luca Lezi Marchetti Parissi.
B. Marinelli, I Lezi-Marchetti: ascesa e declino di un casato folignate, testo inedito di pubblicazine imminente.
Cimarelli Pagliarini Giovanni, Foligno. Gli Atti accademici non ne datano l’aggregazione, ma pensiamo si debba collocare entro il 1795. La matrice genealogica di Giovanni è quella dei Cimarelli di cui supra, alla voce Cimarelli don Antonio. Nipote del presbitero, in quanto figlio del di lui fratello Cristoforo, Giovanni aveva sposato Camilla Ambrosini (figlia di Giuseppe III, di cui s’è scritto supra, alla voce Ambrosini canonico Gio. Batta); costei, nipote di Giustiniano e Anna Maria (fratello e sorella) Pagliarini, era stata da quest’ultima designata donataria universale con l’obbligo di assumerne il cognome. Giovanni nel 1813 (13 agosto), ancora nella pienezza dell’Impero napoleonico, veniva eletto consigliere della Municipalità folignate. Nel 1828, l’Albo delle Famiglie Nobbili, di Cittadinanza, ossia Secondo Ceto segnalava la famiglia Cimarelli Pagliarini, rappresentata dai signori Giustiniano e Bartolomeo: si trattava dei figli di Giovanni; il primo, Giustiniano, portava il nome del pro-zio notaio, pastore arcade e notissimo accademico dei Rinvigoriti; a sua volta, Bartolomeo, si chiamava come il padre dell’arcade, notaio anch’egli. Se nel 1798, Giovanni aveva la propria residenza in via Badia (oggi via Garibaldi n. 140), ove era ubicata anche la Posta di Lettere; e se nel 1819 ne manteneva la titolarità vivo o morto che fosse, nel 1834 la casa era ormai intestata a due diversi titolari: per una parte a Raffaele Banchetti, per un’altra a Matteo Cesari. Dei figli Giustiniano e Bartolomeo a quest’ultima data non si rinvengono più notizie. Giovanni aveva avuto pure una figlia, Marianna. Costei, nel 1820, era andata in sposa a Francesco Rossi, figlio di Cristiano e di Eleonora Felice Seracchi, la quale, come abbiamo già scritto, fino al 1813, aveva avuto la titolarità della celebre Ragione Seracchi.
Per la bibliografia, si veda supra, alla voce Cimarelli don Antonio.
STEMMA CIMARELLI
D
Duranti padre Tommaso (1711ca-1793), Foligno, Ordine dei Predicatori, lettore di Sacra Teologia in San Domenico di Foligno, 14 settembre 1760. Come ha scritto Elena Laureti, su Duranti “appaiono scarne ma essenziali le notizie biografiche, tratte anche dagli accenni relativi a lui che via via emergono dalle memorie conventuali […] Il Domenicano era originario di Viterbo, anno di nascita verosimilmente intorno al 1711, se al momento del suo decesso, avvenuto il 17 gennaio 1793, sembra per un violentissimo attacco di petto, lo si definisce ottantaduenne. Fin dal 1738 ricopre il ruolo di lettore di teologia nel convento di Foligno, dove poi vivrà per l’intera sua esistenza, svolgendo per numerosi anni la funzione di insegnante, come pure quella di confessore; devoto a san Vincenzo Ferrer (italianizzato in Ferreri), padre Tommaso cercherà di promuovere verso il santo un’intensa devozione nonché un’assidua pratica religiosa. […] Nel convento domenicano, frate Tommaso ha ricoperto nel corso del tempo diverse cariche: priore, vice priore, sindaco; dedicando però una parte consistente della sua vita all’insegnamento; molti gli allievi che usufruirono della sua docenza; tra costoro se ne conta uno di particolare rilievo, rilevante personalità per la cultura umbra e folignate, Angelo Savelli (1720-1779), il quale frequentò le lezioni di teologia di Duranti, partecipandovi “summa cum subtilitate ac profunditate eluciditas”; Angelo, futuro sacerdote (sarebbe stato parroco in Belfiore, villaggio prossimo a Foligno) e futuro letterato di pregio, ha lasciato importanti opere edite e inedite.Una volta fondata l’Accademia Fulginia, i due, Tommaso e Angelo, si ritroveranno consoci fulginei della prima ora. Duranti si aggrega alla Fulginia il 14 settembre 1760, trovandovi spazio sia come cultore di belle lettere sia come deputato eletto nelle cariche accademiche, sia, infine, come incaricato e responsabile di alcune operazioni di recupero e di archiviazione di reperti archeologici di Foligno e del suo territorio. Nel 1762 padre Tommaso subentra come assessore nel Collegio dei XII, l’organo direttivo dell’Accademia, al dimissionario Pietro Vitelleschi. Tra il 1761 e il 1763, nelle adunanze o accademie pubbliche del sodalizio, Duranti conduce due dissertazioni sui temi: Chi fusse il primo degli Imperadori Romani a professare pubblicamente la religione di Gesù Cristo (29 giugno 1761) e Sopra l’antichità di Fuligno e ove Fuligno sia stata a’ tempi degli antichi Umbri (10 dicembre 1763). Una terza, sul tema Quale sia stato l’equivoco delli moderni storici ponendo fabbricata Fuligno dopo le ruine di Foro Flaminio, sarebbe stata in programma nel 1764, ma per circostanze rimaste ignote non fu più tenuta. La Biblioteca Comunale conserva i seguenti manoscritti: la Dissertazione critica storica apologetica del P. L. Tommaso Maria Duranti de Predicatori. Chi fosse il primo fra gl’Imperadori Romani a professare pubblicamente la fede di Gesù Cristo. Con annotazioni nella prima parte. Pell’Accademia Fulginia estiva del 1761, elaborato in prosa di cui ho riferito in precedenza il titolo abbreviato, nonché alcuni componimenti poetici con annotazioni erudite: Pell’Accademia Fulginia di gennaro 1762. Sopra la dea Supunna e Fulginia, due Topiche Deità degli antichi Folignati. Capitolo, di 44 terzine, recanti la segnalazione “del padre lettore fra Tommaso Maria Duranti”; Pell’Accademia Fulginia li 10 dicembre 1762. Sopra l’Antichità di Foligno. Capitolo, di 62 terzine, in calce: “del padre lettore fra Tommaso Maria Duranti viterbese, de Predicatori di San Domenico di Foligno”; Pell’Accademia Fulginia li 28 gennaro 1763. Dissertazione del sig. dottor Mari Perugino sopra gli Oracoli degli Antichi. L‘Oracolo di Apollo. Canzone, di 10 decadi, dopo l’indicazione dell’autore si legge: “La viddero li Censori padre maestro Prosperi, e signore abbate Mengozzi”. Le carte conservate nell’Archivio della Fulginia (nella Sezione di Archivio di Stato) hanno queste titolazioni: Pell’Accademia Fulginia li 29 gennaio 1761. Sulla origine degli Auguri. Capitolo in sestina (40 strofe), in calce: “Del P. L. F. Tommaso M. Duranti di San Domenico di Foligno”; Sopra la esistenza, forza, ed origine del Gius di natura. Pell’Accademia Fulginia li 16 aprile 1761. Ode, di 23 strofe di dieci versi ciascuna, alla fine: “Del P. L.re F. Tommaso M. Duranti di San Domenico di Foligno”; Pell’Accademia Fulginia li 27 maggio 1762. Chi fosse il più celebre frà gli antichi Filosofi. Capitolo, di 44 terzine, con note in latino relative ai filosofi citati nel testo, in fine: “Del P. L. F. Tommaso M. Duranti di San Domenico di Foligno”; Pell’Accademia Fulginia li 16 settembre 1762. Sopra l’Anima de’ Bruti. Ode Anacreontica, di 18 strofe da dieci versi ognuna, conclude il manoscritto: “Del P. L. F. Tommaso M. Duranti di San Domenico di Foligno”; Pell’Accademia Fulginia li 26 maggio 1763. Dissertazione del P. Pier Domenico Manganoni priore Cassinese. Sopra le passioni dell’Anima. Ottave (nove), chiude il testo: “Del P. L. F. Tommaso M. Duranti di San Domenico di Foligno”; Pell’Accademia Fulginia li 29 gennaio 1764. Sopra le varie oppenioni degli uomini intorno a Dio, le religioni e costumi, che quindi provennero. Ottave (sedici), con note in latino, in calce: “Del P. L.re Frà Tommaso M. Duranti de Predicatori di San Domenico di Foligno”. Gli argomenti trattati evidenziano come il Nostro si sia inserito pienamente nel clima culturale e letterario del Settecento, tra un’Arcadia erudita di carattere archeologico e i primi timidi influssi dell’Illuminismo, senza trascurare l’incidenza e le conoscenze derivanti dalla sua formazione teologica e filosofica, tutti elementi che caratterizzano la produzione letteraria sua e degli altri soci fulginei, contestualizzati in Foligno in questo periodo storico”. In sintesi, ancora Laureti, Duranti fu “un Fulgineo, un compositore di versi non facili a comprendersi, non già perché la poesia usi di per sé un linguaggio complesso, polivalente, polisemantico, quindi difficile, quanto perché Duranti è un domenicano, un padre lettore colto, di una cultura intrisa di saperi teologici, filosofici, letterari: un ‘lettore emerito e predicatore ricercato’ ”.
“Al di là dell’aspetto letterario, prosegue Laureti, aspetto comunque significativo per delineare la personalità dell’intellettuale-poeta Tommaso Maria Duranti, non meno rilevante ai fini di una conoscenza storica dell’Ordine Domenicano, dell’arte, dell’economia, insomma della città di Foligno, risultano particolarmente interessanti il Libro generale delle memorie, redatto nel 1754 che si rifà a precedenti atti ora dispersi”, e a suo tempo dato alle stampe da Mario Sensi]; nonché la registrazione degli atti di sepoltura, [ora pubblicati da Bruno Marinelli], che egli compilò dal 20 febbraio 1772 al 1780, portando avanti la memorizzazione di una serie di dati già raccolti dai suoi predecessori, con i nomi dei defunti che avevano trovato sepoltura nelle cappelle consacrate e dislocate nella chiesa di San Domenico di Foligno, operazione tanto più preziosa visto lo smantellamento e la deturpazione perpetrati sul sacro edificio”.
Gli stralci sono tratti da: E. Laureti, Una chiesa domenicana, un frate letterato, un artista francese, introduzione a B. Marinelli, Altari, Cappelle e Sepolcri. Il caso della chiesa di San Domenico in Foligno (1410-1859), Foligno, Centro di ricerche Federico Frezzi e Alliance Française, 2015, pp. XVII-XXVII, cui si rinvia per i dovuti riferimenti bibliografici.
Dolci canonico Francesco (1769-v.1821), Foligno, 10 giugno 1795. Rifiutò di prestare giuramento di fedeltà alla Francia del Primo Impero, e fu deportato in Corsica (1810). Canonico soprannumerario della cattedrale di Foligno, era priore-parroco di San Giovanni dell’Acqua e in quanto tale cappellano di alcune cappelle attivate nella chiesina di Maria Santissima delle Grazie, ubicata nella medesima parrocchia, lungo lo stradone delle Mura Castellane (dove oggi si trova la chiesa omonima, realizzata nel 1898 su progetto dell’architetto folignate Vincenzo Benvenuti). Un contenzioso sorto tra Dolci e la Compagnia delle Grazie, titolare della chiesina, fu risolto nel 1821 dal vescovo diocesano Stanislao Lucchesi a favore della confratermita.
Lattanzi, IV, passim; M. Sensi, Visite pastorali della Diocesi di Foligno. Repertorio ragionato, Foligno, Diocesi di Foligno, 1991, p.157; F. Bettoni, B. Marinelli, Foligno. Itinerari dentro e fuori le mura, Foligno, Edizioni Orfini Numeister, 2001, pp. 163-164; L. Piermarini, La passione di Faloci per il patrimonio monumentale di Foligno, in Capire Faloci. Mons. Michele Faloci Pulignani a settant’anni dalla morte, Atti del Convegno di Studi (Foligno, 8-9 aprile 2011), Foligno, Accademia Fulginia, 2016, pp. 70-76 (Supplemento n. 14 al BSCF); Bettoni, Marinelli, 2018, p. 169. .
Donadoni dottor Vincenzo, 10 giugno 1795.
E
Eusebio padre da Foligno, minore osservante, lettore generale, 1 marzo 1767.
Erba padre Saverio, barnabita, 20 gennaio 1771.
Elisei Marco da Foligno, 6 dicembre 1785.
F
Facciolati abate Jacopo (1682-1769), prefetto agli Studi, Università di Padova, 25 novembre 1759. Teologo, filosofo, latinista, grecista, lessicografo assai celebre.
M. Boscaino, Facciolati, Iacopo, in DBI, 44, Roma, IEI, 1994.
Filippo da Carbognano fra, Roma, minore osservante, professore di Teologia Polemica in Propaganda Fide, 25 novembre 1759. Non abbiamo le competenze necessarie per andare oltre un’osservazione di fondo: il francescano legò il suo nome alla Theologia Moralis Universa, un’opera fondamentale del gesuita francese Paul Gabriel Antoine (1679-1779), come si vede nel Compendio di tutta la teologia morale del padre Paolo Gabriele Antoine, sacerdote e teologo della compagnia di Gesù e delle illustrazioni del padre Filippo da Carbognano, minore osservante, dalla lingua latina tradotto nella lingua italiana, Venezia, Baglioni, 1770.
Fontana Donato (not. 1725-Ω 1780), da Foligno, 25 novembre 1759. Nel 1762 e nel ’64 fungerà da censore accademico insieme, rispettivamente a Domenico Giusti e Giustiniano Vitelleschi (per i quali si acceda in questo sito alla Sezione Storia 1-I Fondatori). In base a ciò che abbiamo potuto verificare, come poeta aveva esordito nel 1752 figurando nei Componimenti poetici dedicati a Sua Altezza Reale Eminentissima il Signor Cardinale Duca di York dai fratelli Barugi in occasione, che prende l’abito religioso del P. S. Agostino nel Monastero di S. Elisabetta di questa città di Foligno Antilia Barugi loro sorella assumendo i nomi di Maria Aurelia. In Foligno, nella nuova Stamperia di Francesco Fofi e Compagno; raccolta poetica nella quale figura con altri due folignati: Girolamo Barugi, fratello della monacanda e, come si vedrà tra breve, parente del nostro Donato, e Filippo Betori Berardi. Sempre con Barugi, ma questa volta insieme ad un altro concittadino, Giambattista Maffetti anch’egli un parente come si vedrà più giù, lo si leggeva nel 1754 tra le pagine del volumetto titolato Prendendo il sacro abito del primo istituto di S. Chiara la nobil signora Olimpia Cantagalli patrizia di Foligno nel Monastero di S. Lucia di detta città col nome di suor Maria Aloisia Costante del Santissimo Sagramento componimenti poetici dedicati all’eminentissimo, e reverendissimo principe il signor cardinale Nerio Corsini protettore delli regni di Portogallo, e d’Irlanda, arciprete della Basilica Lateranense, ec.,ec.,ec.. (Foligno, Campitelli). L’accademica Elena Laureti ha recentemente evidenziato le qualità poetiche del Nostro, pubblicandone un sonetto inedito non databile dedicato al fiume Tinna-Topino dal verso iniziale Chi è costui, ch’affaticato, e stanco.
Di casato ascritto al Quarto Grado Priorale, il nonno, Donato, originario di Morbio Inferiore (Svizzera, Canton Ticino, oggi distretto di Mendrisio), residente nel 1644 nella parrocchia di San Francesco si dichiarava muratore; coniugato con Maria Cenzi, aveva una nutrita schiera di figli tra i quali Domenico, al momento undicenne, che avrebbe sposato Contessa Maffetti generando il nostro Accademico. Questi si era coniugato intorno al 1725 con Caterina di Pietro Paolo Barugi, zia ex-fratre di Girolamo (IV) di Giuseppe (II) di Pietro Paolo, del quale scriviamo supra (Barugi marchese Girolamo sr). Il sodalizio letterario con Barugi degli anni 1750, diventava anche economico. Donato, infatti, in società con Giuseppe Ambrosini, nel 1757 stipulava un contratto di accomandita per il Negozio Fondacale e Capitale di Pannine, Telerie e altre merci dei Fratelli Barugi (Girolamo IV, Antonio e Domenico, con Antonio abilitato a periziare), avente a caporete commerciale l’emporio degli accomandanti in Foligno, due botteghe degli stessi Barugi in Farfa (Reatino), e tre botteghe in Senigallia delle quali erano proprietari i canonici della cattedrale di quella città. La società accomandataria Fontana & Ambrosini, inizialmente istituita per nove anni (in genere era questa la prassi), proseguì ben oltre il ’67. Nel 1784, rinnovava l’accomandita con i Barugi medesimi, ormai non soltanto patrizi di Foligno ma anche marchesi di Popola come apprendiamo. Nel 1780, la Fontana & Ambrosini contribuiva (sottoscrivendo un “carato” di 1000 scudi) a formare la Nuova Società ed Impresa della Manifattura delle Tele ad uso di Tolmezzo nel Reclusorio Pio Pontificio per Discoli e Vagabondi fondato in città nel 1776-77: operazione dagli esiti non felici, talché nel 1787, Giuseppe Ambrosini, in rappresentaza della Società cui apparteneva con Fontana e a nome della medesima, usciva dalla fallimentare manifattura del Reclusorio. Fontana, però, era già morto, nel dicembre del 1780. Nel testamento aveva nominato erede universale il nipote ex-filio Domenico di Giovanni, del quale, massone repubblicano e francofilo, restano varie testimonianze a cavaliere dell’Ottocento. Come fosse nata la vocazione commerciale di Donato non sapremmo dire, sta di fatto che nel 1756 figurava (con Antonio Barugi e Giuseppe Ambrosini tra gli altri) nella selezionata Nota delli mercanti, che sono atti a far perizie; in margine ricorderemo che i fratelli del padre, Antonio e Tommaso avevano dato buona prova di sé nell’Arte della Spezieria tra Sei e Settecento; Arte praticata, grosso modo nello stesso periodo, anche dai Barugi, con Pietro Paolo forse, e Marco sicuramente.
B. Lattanzi, I Barugi, il loro vescovo, il loro palazzo, in BSCF, XIX, 1995, albero e passim; F. Bettoni, B. Marinelli, Un documento per la storia sociale ed economica di Foligno: la “Nota delli fuochi et anime” del 1644, in BSCF, XXIII-XXIV, 1999-2000, p. 61, n. 75; C. Casciola, Da speziali a farmacisti. La pratica farmaceutica a Foligno dal XIV al XIX secolo, Foligno, Afam Spa, 2003, passim; E. Laureti, Arcadici componimenti: la festa continua, in G. Biancani, De diis Topicis Fulginatium Epistola, ristampa anastatica, edizione a cura di E. Laureti, Foligno, ArcheoClub d’Italia e Centro di ricerche Federico Frezzi, 2014, pp. 159-160; B. Marinelli, I Lezi-Marchetti: ascesa e declino di un casato folignate, testo inedito di pubblicazine imminente; Baldaccini-Menichelli, ad indicem; Lattanzi-Rodante, ad vocem.
STEMMA FONTANA
Frugoni abate Innocenzo (1692-1768), poeta di S.A.R. di Parma, 25 novembre 1759.
G. Fagioli Vercellone, Frugoni, Carlo Innocenzo, in DBI, 50, Roma, IEI, 1998.
Ferraris padre Lucio (1697-1763), già provinciale dei Minori Osservanti, consultore del Santo Uffizio, 5 gennaio 1760.
Si possono leggere le voci: A.Chiappini, Ferraris, Lucio, in www.treccani.it/enciclopedia>, 1932; A. Lupano, Vita e opere del canonista Lucio Ferraris, in Dizionario Biografico dei Giuristi Italiani, Bologna, il Mulino, 2013, p. 846; alla voce della Treccani si rapporta direttamente quella che si legge in www.cultura-barocca.com, ma con notevoli rimandi e integrazioni. Nel 2013 (11 maggio) si è tenuto un convegno su Lucio Ferraris. Il suo tempo, il suo ruolo, la sua opera, di cui abbiamo trovato l’annuncio su “Alessandria Oggi”, 10 maggio 2013, www.alessandriaoggi.it; non ne abbiamo reperito gli eventuali Atti.
Foschi marchese Francesco de, da Fragnano, Senigallia, 5 gennaio 1760.
Francesco Maria da San Sepolcro, fra, cappuccino, lettore di Filosofia, predicatore generale, 30 novembre 1760.
Francesco Maria da Bergamo padre, cappuccino, predicatore apostolico, 9 aprile 1761.
Fontana padre Mariano, barnabita, 2 giugno 1772.
Per il contesto nel quale si muoveva, si veda il dossier barnabitico delineato da F. Bettoni, B. Marinelli, I Barnabiti “maestri di scuola” in Foligno, in F. Bettoni (a cura di), Lo spettacolare trionfo di San Carlo Borromeo nella Foligno del 1613, Foligno, Il Formichiere, 2013, pp. 228-235.
Faenza padre Gio. Batta, chierico regolare di San Paolo (barnabita), 27 gennaio 1773.
Per il contesto nel quale si muoveva, si veda il dossier barnabitico delineato da F. Bettoni, B. Marinelli, I Barnabiti “maestri di scuola” in Foligno, in F. Bettoni (a cura di), Lo spettacolare trionfo di San Carlo Borromeo nella Foligno del 1613, Foligno, Il Formichiere, 2013, pp. 228-235.
Fusconi canonico Teodoro, da Norcia, 27 febbraio 1774.
Fiorini don Silvestro, 2 aprile 1778.
Franceschini padre Francesco, barnabita, 2 aprile 1778.
Francesconi Francesco, 2 aprile 1778.
Frenfanelli [Cibo] Serafino (1741-v. 1819), da Foligno, 2 aprile 1778. Apparteneva al casato dei nobili Frenfanelli di Cascia, e precisamente al ramo che si era trasferito in Foligno nella seconda metà del Cinquecento con Diomede di Serafino il quale sposò nel 1575 Feliciana Bernabei; e che nel 1616 veniva ascritto all’Ordine del Priorato, con il medesimo Diomede; per accedere nel 1676 all’Ordine patriziale di Consiglio, con Fausto, dottore in utroque iure, figlio di Bernardino di Diomede. (In parallelo, don Diomede, fratello di Fausto procedeva nella propria carriera ecclesiastica, e nel 1641 diventava priore del capitolo dei canonici della cattedrale mantenendo tale “dignità” fino al 1691. ) Il matrimonio di Fausto con Orsola di Flavio Cibo comportava la doppia cognominazione del ramo in Frenfanelli Cibo. Il nostro accademico Serafino era figlio di Giovanni Battista di Fausto (consigliere dal 1730) e di Lucia Jacobilli; nel 1799, all’atto di registrarsi come “civico” ovvero aderente alla Prima Repubblica Romana (la Giacobina, 1798-99), dichiarava 58 anni di età il che, salvo verifiche tutte da effettuare, ricondurrebbe la sua nascita al 1741. Consigliere comunale, Serafino sarà a capo della Municipalità (1797) nella fase di transitorietà sospensiva che lo Stato pontificio avrebbe attraversato tra l’arrivo di Napoleone in Italia (1796) e l’affermazione della Repubblica Romana Giacobina, e, nel corso della vicenda repubblicana, pur non avendo funzioni amministrative dirette svolgerà delicate missioni a Roma per conto della Municipalità repubblicana folignate. Nel 1805, sfumata la ventata giacobina, ma sempre sotto l’ala francese, sarebbe stato tra i consiglieri comunali che accolsero (13 maggio) il papa PioVII in viaggio da Roma a Milano per incoronare Napoleone re d’Italia (26 maggio). Intanto, nel 1804, aveva acquistato il palazzo in piazza San Salvatore (oggi Garibaldi, n. 12/via Garibaldi, n. 91), già dei Berardi, ove avrebbero chiuso i loro giorni i bisnipoti Paolano (1831-1900) e Serafino (1834-1916). Costoro erano i figli di Giovanni Battista di Ferdinando di Cherubino dei Frenfanelli dell’Aquila e di Rosa dei marchesi Giberti di San Ginesio (Marche); sposando Lucia di Serafino, il detto Ferdinando aveva congiunto il ramo aquilano dei Frenfanelli a quello folignate dei Frenfanelli Cibo.
Base imprescindibile: un breve contributo, ma denso di notizie, scritto da B. Marilelli, I Fratelli Paolano e Serafino Frenfanelli Cibo, in Foligno nell’Italia unita, Foligno, CaRiFo, 2011, p. n. n.; da collegare ad A. Fabbi, Storia e Arte nel comune di Cascia, Cascia, S. n. t., 1975, pp. 107-113; M. Faloci Pulignani, I priori della cattedrale di Foligno, Perugia, Unione Tipografica Cooperativa, 1914, pp. 292-307. Per l’ubicazione delle residenze e del palazzo, B. Marinelli, I rioni di Foligno. Tradizione e storia, Foligno, Associazione Orfini Numeister, 1994, p. 114 (rione Croce); Bettoni-Nobili, n. 114; Bettoni-Marinelli, 2018, p. 77. Per la divisa araldica: Coronelli, p. 30; Bartoli-Lattanzi, p. 135.
Fidanza padre Luigi, ordine dei predicatori, 10 maggio 1779.
Ferroni dottor Sante (1764-1800), Foligno, poeta improvvisatore, 7 agosto 1781. Il fatto che Sante, appena diciassettenne fosse aggregato all’Accademia dimostra la precocità del suo agire poetico e la considerazione nella quale lo si teneva nella nostra città, anche se non è da escludere che sulla sua nomina avesse esercitato qualche influsso l’abate Giovanni Mengozzi, cofondatore della Fulginia nel 1759 e suo maestro. La professoressa Elena Laureti nostra accademica nel gennaio 2012 ne ha rilanciato la memoria. In attesa che tra i tanti impegni culturali che la occupano riesca a realizzare lo studio cui allora annunciò di voler dar corso, ne pubblichiamo l’articolo seguente apparso in “Chiaroscuro”, n. 14, anno III, 2012, p. 58, dal titolo Sante Ferroni:
Mentre girovaghiamo per le strade della nostra città, talmente note che per orientarci non abbiamo bisogno di individuare i nomi delle vie, pure qualche volta accade che lo sguardo scivoli sulle targhe delle nostre strade e nomi di concittadini del passato ci colpiscano, e con un vago senso di colpa ci domandiamo quale ruolo ebbero durante la loro esistenza: Pietro Gori, Ettore Sesti, Cesare Agostini, Francesco Benaducci, Francesco Innamorati, Sante Ferroni, solo per citare i primi che vengono in mente. Intendo dare alcune notizie se Sante Ferroni, prerisorgimentale poeta estemporaneo. Sante nasce a Foligno il 10 marzo 1764, data documentata contro tutte le supposizioni dei biografi che lo fanno nascere nel 1767, e i genitori, Nicola il padre, Felice di Giuseppe la madre, danno al figlio la possibilità di conseguire la laurea in medicina, forse a Roma: il titolo di dottore precede il nome di Sante nelle varie edizioni delle sue poesie; i suoi componimenti poetici di carattere “scientifico” poggiano su basi senz’altro più solide rispetto ad altri poeti estemporanei che trattano temi simili. Dato dubbio, ma proposto dai suoi biografi, è la sua parentela, da parte di madre, con Metastasio, un Trapassi di origine assisana: anche il grande poeta cesareo possedeva una straordinaria capacità di versificare, come per Sante straordinaria appare la capacità di saper produrre versi dotati di logica, di ritmo, di metro, così all’impronta, come veniva richiesto ai poeti estemporanei, tra i quali Sante, nel breve periodo della sua vita, parve emergere. Chi l’ha conosciuto tramanda che era bello, sguardo ardente e ammaliatore, un volto dai lineamenti perfetti, chioma fluente, alto di statura, prestante nel fisico, una voce che prendeva l’anima, parole che prendevano l’anima; concupito da oneste fanciulle, da donne dell’alta società, da attrici e cantanti: sarà di molte, ma preso, fino alla morte, soltanto da una, Antonia Falzi, cantante e attrice in opere buffe. Il poeta muore il 18 agosto 1800, a soli trentasei anni in circostanze poco chiare, su cui molto si è favoleggiato.
L’attività recitativa ha sempre impressionato i sentimenti degli astanti; il secolo XVIII, in Italia, è stato il periodo più ricco per qualità e quantità di spettacoli teatrali. Una forma di spettacolo era costituita dalla poesia estemporanea, così definita perché richiesta sul momento dal pubblico, il quale dettava rgomento e metro agli improvvisatori: il poeta estemporaneo, dalla fine del Seicento e sempre più nel Settecento, deve avere una formazione culta, la conoscenza dei miti, dela storia passato e a lui coeva, come dimostra lo stesso Ferroni, che si richiama a personaggi dela rivoluzione francese, alle nuove scopertescientifiche; inoltre il poeta estemporaneo recita in accademie private, ma soprattutto in pubblici ritrovi, in varie parti d’Italia. Ferroni incontra il concittadino Giuseppe Piermarini a Milano e proprio al teatro alla Scala. Dalla sua versatilità poetica ottiene degli emolumenti per vivere: Sante dà spettacolo, viene richiesto per dare spettacolo, per mandare in visibilio gli astanti che, stupefatti, assistono alla prontezza del poeta a mutare con una richiesta improvvisa argomento, metro, forma, mentre sottolinea gli argomenti profusi col timbro della voce, con una gestualità appassionata, sentita visceralmente se è vero che, dopo le recitazioni, il poeta era spossato, pallido, talora con fuoriuscita di sangue dal naso.
Il successo che Sante ottenne tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento, è confermato dalle undici edizioni delle ssue poesie date alle stampe, dove non figurano poesie patriottiche, ma sappiamo da testimonianze coeve che egli prendeva parte a Pavia alle sommosse studentesche contro i regimi assolutistici, declamando all’impronta versi che suscitavano plauso e ancor più entusiasmo nei giovani cuori, cuori che hanno “fatto” l’Italia. La poesia estemporanea, intesa nel senso che abbiamo detto, finisce nella seconda metà dell’Ottocento: fondamentale il suo apporto alla spinta risorgimentale, più capillare della stessa poesia “meditata”, limata e data alle stampe, poiché essa è più popolare, più travolgente, grazie ai toni, alla recitazione, alla piazza: lo stesso Ferroni per le sue idee “democratiche”, manifestate a Pavia, venne imprigionato ad Arezzo.
L’articolo proposto ha costituito la base della conferenza che Laureti tenne il 12 gennaio 2012 alla Sala Jacobilli, dal titolo Improvvisazioni poetiche agli albori del Risorgimento. Sante Ferroni, nel corso degli incontri promossi dalla Associazione “Pro Foligno” per l’iniziativa i Giovedì della Storia, dedicata al tema “Foligno nell’età del Risorgimento (1796-1860). Divagazioni Immagini Letture” a cura di Fabio Bettoni ed Elena Laureti”.
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