Presidente Onorario dell’Accademia Fulginia
Quanti, tra gli accademici della Fulginia, hanno avuto il piacere d’intrattenersi con Boris Ulianich ancora negli ultimi giorni della sua vita, hanno appreso il vasto programma di studi con il quale il Professore continuava a scandire le proprie giornate.
Il carteggio Faloci-Sabatier
Su di un argomento, Boris era arrivato ad un livello realizzativo molto alto: l’edizione critica del carteggio tra Michele Faloci Pulignani, sacerdote e storiografo folignate (1856-1940), fondatore e “magna pars” della rivista “Miscellanea Francescana” (dal 1885), e lo studioso francese Paul Sabatier, francescanista e pastore calvinista (1858-1928). Il rapporto tra i due personaggi aveva avuto il suo inizio nel 1892, con una lettera di Sabatier mediante la quale lo studioso si rammaricava del gran ritardo con il quale era venuto a conoscenza dell’“excellente pubblication des Miscellanea”; e poi aveva raggiunto un passaggio saliente segnato da una recensione falociana a La Vie de S. François d’Assise che il Francese aveva mandato alle stampe nel 1893 (Paris, Librairie Fischbacher, pp. CXXVI, 418); opera, subito condannata dal Santo Uffizio (1894), della quale anche critici assai decisi come i gesuiti di “La Civiltà Cattolica” avevano dovuto (1894) riconoscere la “serietà” dell’impianto scientifico: nonostante la ritenessero “un’ingiuria alla Chiesa Cattolica e al Santo”. Il carteggio, nella consistenza che è giunta fino a noi, consta di 38 lettere e 33 cartoline postali, e si trova nella nostra Biblioteca Comunale “Dante Alighieri”.
Ulianich ne ha dato illuminante sintesi anticipativa nel suo intervento su Monsignor Michele Faloci Pulignani fra agiografia e storia della Chiesa. Note e postille, presentato alla giornata di studi (11 settembre 2021) dedicata dalla Biblioteca “Jacobilli” di Foligno a “Michele Faloci Pulignani a 80 anni dalla morte” (pp. 77-108: 81-98 degli Atti, a cura di L. Bertoglio, 2022). Magistrale la base interpretativa del contributo: nella sua esperienza di vita, l’ecclesiastico folignate ha incarnato la caratteristica “difficoltà dei cattolici di inserirsi nella vita culturale e di chiarire il complicato rapporto tra fede religiosa e progresso scientifico. Ritengo – osserva quindi il Professore – che anche e in maniera ancora più coinvolgente il suo scrivere di storia [sia stato] condizionato dal vissuto concreto”. Antonio Nizzi, direttore della “Jacobilli” e accademico della Fulginia, nel ricordo di Boris sulla “Gazzetta di Foligno” (2 aprile) ha scritto di un’auspicabile recupero del lavoro fin qui svolto sul carteggio dal Professore. Ci uniamo all’auspicio.
L’accademia Fulginia
Ulianich è stato Accademico Ordinario del Sodalizio dal 2011 e suo Presidente Onorario dal 2017, attivando una partecipazione ammirevole alla vita dell’Accademia come dimostrano i diversi lavori che ci ha donato.
Il pensiero corre subito agli ormai notissimi volumi da lui curati con autorevolezza impareggiabile: Ripensando il Concilio Vaticano II e Ricordando Lutero a 500 anni dalla pubblicazione delle Tesi, opere che abbiamo pubblicato negli anni 2019-20 nella Collana “Supplementi al Bollettino Storico della Città di Foligno” (nn. 16 e 17). Il libro sul “Vaticano II” raccoglie, sia pure un po’ tardivamente, gli Atti di un convegno tenutosi in Foligno il 5 dicembre 2015 per celebrare il Cinquantesimo dalla conclusione di quella epocale assise; uno snodo nella storia della Chiesa cattolica con particolare riferimento ai temi della libertà religiosa, dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso. Ulianich apre il volume leggendo il pontificato Giovanneo alla luce della peculiare missione di un papa: annunciare la Parola; annuncio che in Roncalli assunse una valenza biblico-catechetica piuttosto che teologico-dottrinale. E il vescovo Gualtiero Sigismondi lo chiude con una esemplare focalizzazione binaria: “Se Roncalli ha fatto salpare la Navicula Petri nel vasto mare della modernità con dolce fermezza, Paolo VI l’ha condotta al largo, reggendo il timone con mite fermezza”. Nel corpo centrale della trattazione si collocano: il vescovo Domenico Sorrentino, sulla dichiarazione conciliare Nostra Aetate, relativa al dialogo interreligioso; Franco Buzzi, della Biblioteca Ambrosiana (MI), sul decreto Unitatis Redintegratio riguardante l’unità dei cristiani; Fortunato Frezza sulla dichiarazione Dignitatis Humanae considerata alla luce dell’assunto secondo il quale “fondare la libertà religiosa sulla dignità umana significa affermare come norma l’orientamento della persona alla verità e alla ricerca della verità”. Anche per taluni tratti autobiografici emergenti dalle pagine di Ulianich, il libro risulta una testimonianza efficace dell’intreccio di Storia e Memoria. Su questa pubblicazione, si è letta una recensione piuttosto fredda, per non dire malevola, di Claudio Anselmo, apparsa in “Annales Historiae Conciliorum”, 2020 (50, 2, pp. 467-470), con la quale si stigmatizza “la tendenza all’adesione ad una storiografia che ha costruito egemonicamente quella che si può definire una visione ideologica del Concilio”; la nota ha creato nel Professore un certo sconcerto, ma vi fu chi gli disse che invece, proprio per la provenienza, della stroncatura avrebbe dovuto menar vanto.
In Ricordando Lutero il Nostro propone gli Atti del Convegno di Studi che, a proposito delle “95 Tesi” sulle Indulgenze redatte nel 1517 dal frate agostiniano sassone Martin Luther (1483-1546), si tenne in Foligno e in Montefalco nel 2017 durante la VII edizione di Festa di Scienza e di Filosofia. Una bella recensione dell’accademico Maurizio Coccia sulla “Gazzetta di Foligno” (n. 34, del 2020), riportata integralmente nel presente sito www.accademiafulginia.it/, consente di non aggiungere altre note circa un libro fondamentale; si vogliono qui ricordare, nondimeno, gli autori dei contributi: Lucia Felici dell’Università di Firenze, Franco Buzzi prefetto dell’Ambrosiana (MI), Sergio Rostagno teologo e pastore valdese, Silvana Nitti storica del Cristianesimo alla Federico II, Fortunato Frezza, biblista, Stefano Cavallotto docente a Roma/2, Michele Cassese dell’Istituto di Studi ecumenici di Venezia, Paolo Ricca teologo valdese, Emanuele Fiume pastore valdese e storico della Riforma, Francesco Donadio storico della Filosofia già alla Federico II, Daniele Garrone biblista e pastore valdese. Il libro rivela, peraltro, quella convinzione di fondo che non pochi di noi hanno colto in Ulianich più di una volta: essere Lutero un uomo “religioso nel profondo”, in ciò aderendo alla tessitura storiografica di Joseph Lortz (1887-1975), Maestro e Amico, la cui grande opera Die Reformation in Deutschland (1939-40) ha significato “la fine dell’apologetica” (e ciò positivamente per Boris il quale sin dal 1971 ha legato al proprio nome di revisore e curatore le fortune italiane dell’opera iniziando con Jaca book, in due volumi di pp. XXX, 532+396). E al magistero del papa Bergoglio il quale si muove nella prospettiva di una “diversità riconciliata”.
Boris Ulianich, o della complessità
I “doni” di Ulianich appena segnalati erano stati preceduti da un saggio densissimo, e da una breve, ma altrettanto densa nota su di un monumento particolarmente caro ai nostri lidi e non solo. Il saggio: Monachesimo, ordini mendicanti e l’iconografia del Crocifisso, inserito tra gli studi che dedicammo a don Mario Sensi nel 2009, raccolti da Alessandra Bartolomei Romagnoli e Fortunato Frezza nel volume Amicitiae Sensibus, formante un “Bollettino” della nostra Fulginia, il n. 31-34 (2007-2011); la nota: Le iscrizioni del Tempietto del Clitunno, sempre sul “Bollettino”, n. 37 (2014). Questo secondo lavoro prese le mosse dalla presentazione, effettuata dal Professore, di uno studio di Silvestro Nessi riguardante Il Tempietto del Clitunno (ed. Accademia di Montefalco, 2013), l’edificazione del quale viene ascritta da Nessi all’età di Teodorico regnante (493-526): “una conclusione – secondo Ulianich – ben documentata, ma, forse, non definitiva”. E le “poche note” di Boris, un “modesto contributo” a detta di lui medesimo, potrebbero tornare utili al chiarimento della questione relativa alla datazione del monumento. Dopo aver passato in rassegna il deposito dell’erudizione antiquaria a muovere dallo spoletino Severo Minervio (Ω 1529), il Professore, sul presupposto del carattere cristiano del complesso che dunque lo rende estraneo ad un’origine pagana, propone la sua lettura delle tre iscrizioni di cui al titolo del saggio: Sanctus Deus Angelorum Qui fecit Resurectionem; Sanctus Deus Profetarum Qui fecit Redentionem; Sanctus Deus Apostolorum Qui fecit Ascensionem. Lettura cui fa seguire una puntualizzazione che costituisce il nucleo fondante la trattazione. Esse enunciano “in sintesi i momenti nodali del mistero salvifico nella sua sostanziale unità” di redenzione, resurrezione, ascensione. “Ci troviamo di fronte – aggiunge l’Autore – ad una visione non parcellizzata, ma globale. In linea con la liturgia dei primi secoli e con le prime rappresentazioni iconografiche della passione-morte di Gesù, mai decontestualizzate dalla resurrezione e dalla ascensione. Basti ricordare gli avori del British e le porte di Santa Sabina in Roma della prima metà del V secolo, fino all’evangelario di Rabula (databile 586). Ma possono riconoscersi suggerimenti o incentivi in altre analoghe espressioni di cui è ricca la liturgia? Le iscrizioni sembrano, per la loro prima parte, rinviare al Te Deum”, da attribuire ad Anniceta vescovo di Remesima (Serbia attuale), fine del IV secolo. Peraltro, “è possibile che le iscrizioni abbiano potuto coniugare sollecitazioni provenienti dal Te Deum con altre desunte dalle Litaniae maiores” che si affermarono con Gregorio Magno (560-604; in merito alle litanie, v. una remota nel tempo, ma esemplare voce di Umberto Fracassini e Giuseppe De Luca su https://www.treccani.it/enciclopedia/litanie). Resta aperta una problematica. “È Dio Padre – fa notare opportunamente Ulianich – che ha fatto (“fecit”) la redenzione, la resurrezione, l’ascensione”. Ne consegue il domandarsi: “Cosa vuol dire? Perché questa insistenza sull’azione di Dio Padre? Il Cristo, il Salvatore (per ricordare il titolo del Tempietto) fino a che punto è attore passivo degli eventi fondamentali della storia della salvezza? Se egli ne è il protagonista attivo, come si concilia con il triplice “fecit” del Padre?”. Osservato che con questi quesiti si entra “in un ambito teologico di estrema delicatezza”, Ulianich conclude il “modesto contributo” con una sospensiva: “Quale possa essere la matrice teologica da cui il “fecit”, riferito a Dio Padre, tragga origine, non è compito che possa ora essere affrontato”. Lo studioso è pago di aver “posto il problema, non di facile soluzione, potendo, le eventuali risposte, rinviare ad una molteplicità di radici problematiche”; e aggiunge: “risolvibili sia in termini di ortodossia che di eterodossia”: una chiosa emblematica di una prassi scientifica aperta, non dogmatica, come in tutta la vicenda dell’Ulianich ricercatore.
Sullo sfondo di queste “poche note” un lavorìo di lunga lena, condotto dal Professore e dalla cerchia degli studiosi a lui vicini ed affini a datare dagli anni Novanta del secolo scorso. Pensiamo a Note sulla evoluzione della Croce da segno a crocifisso del 1996; e agli Atti in tre volumi usciti nel 2007 di un Convegno internazionale tenutosi in Napoli nel 1999 dal titolo complessivo di La Croce. Iconografia e interpretazione (secoli I – inizio XVI) (v. il tutto alla “Jacobilli”). Opere che fanno da sfondo anche a Monachesimo, ordini mendicanti e l’iconografia del Crocifisso. Di questo saggio, ci si limita a fornire un passo che si ritiene basilare per cogliere la barra di orientamento della riflessione: “Che io stia cercando di individuare e fondare una ipotesi di lavoro circa l’influenza esercitata dal monachesimo e dagli ordini mendicanti sulla iconografia del crocifisso non significa in alcun modo che io voglia ridurne la evoluzione, semplicisticamente, alla sola vita e meditazione monastica. Non sarebbe rispondente la partecipazione alla passione e morte di Gesù limitandone la realtà unicamente ai monaci, sia in Oriente, sia in Occidente. Non sarà mai abbastanza posta in risalto la valenza della liturgia, che non descrive soltanto, ma coinvolge non solo il monaco, ma l’intera congregatio fidelium, nella compassione, nella sequela. Il problema dell’iconografia della crocifissione non può non rinviare alla complessità estrema della vita della Chiesa, né la sua evoluzione può essere ricondotta ad un’unica matrice. Sono in giuoco dogmatica, teologia, ecclesiologia, liturgia, letteratura biblica e di pietà, per ricordare alcune soltanto delle dimensioni fondamentali, con espressioni ed accentuazioni che, di tempo in tempo, possono variare”.
Boris Ulianich, o della complessità.