Giovanni Tomassini

Un tipografo tra Rivoluzione e Restaurazione

Sin qui s’è detto della Gazzetta Universale come di un prodotto editoriale di Giovanni Tomassini; del resto, nel 1821, è ancora riportata la nota tipografica In Fuligno. Per Giovanni Tomassini Stampatore Vescovile e Pubblico. Con approv[azione]; ma il “motore” della Casa Tomassini non è più Giovanni, il suo fondatore. Originario di Pesaro, ove era nato nel 1756 da Saverio, approdava a Foligno nel 1779, qui chiamato da Maria Campana. Costei (1707-v. 1781), figlia del tipografo Pompeo, nel 1743 aveva preso in mano le sorti della stamperia paterna che avrebbe condotto fino al 1779 insieme al marito Andrea Sgariglia di Assisi, morto in quell’anno. Il giovane pesarese intraprese la gerenza della Casa Campana, sposò Rosa, figlia di Maria ed Andrea, e con lei ebbe (almeno) quattro figli: Francesco Saverio (1783), Filippo (1784), Margherita (1782), che sposerà Marcantonio Trabalza e Maria Antonia Feliciana, nata il 13 giugno 1786. Come già accennato, Giovanni si spegne tra il settembre del 1818 e l’aprile del 1820. Con ogni verosimiglianza, la gerenza era passata a Francesco Saverio il quale avrebbe garantito gli sviluppi dell’azienda attraverso la figlia Maria Teresa e, lo si dirà a suo luogo, il di lei marito Domenico Pacelli. Nel 1828, Francesco Saverio era annoverato nell’Albo delle Famiglie Nobbili, di Cittadinanza, ossia secondo Ceto, dunque era diventato lui il rappresentante della stirpe Tomassini. Consigliere del Comune, Francesco Saverio era membro dell’Accademia del Teatro (dal 1827); tra il 16 e il 17 febbraio del 1831, nel vortice dell’insurrezione che investì lo Stato Pontificio, veniva eletto nel Comitato Provvisorio di Governo, preposto a Dogana e Lotteria; restaurato il potere papale nel marzo successivo, entrava in qualità di anziano (oggi diremmo assessore) nella Magistratura municipale così essendovi attestato negli anni 1831-32. Le riforme istituzionali introdotte a seguito del Memorandum imposto allo Stato pontificio nel 1831 (21 maggio) dalle cinque potenze europee (Austria, Russia, Prussia, Inghilterra, Regno di Sardegna) comportavano anche in Foligno un riassetto del Consiglio Comunale: tra i consiglieri insediati nel 1833, il nome del Tomassini non figura, e, a onor del vero, per ciò che al momento è noto, Francesco Saverio sembra ormai uscito di scena.

     Dal canto suo, Filippo, secondogenito di Giovanni, aveva preso la via di Roma. Nel 1814, a 28 anni, lo troviamo segretario del Collegio Imperiale; quattro anni dopo appariva nei ranghi della burocrazia pontificia. Tra il 1818 e il 1846, raggiungeva il grado di ispettore generale nelle Manifatture d’oro e d’argento, per la sezione del Bollo di garanzia Orefici e Argentieri. In parallelo, dal 1825 e, sempre, fino al ’46, sviluppava un cursus negli offici del Camerlengato fino a diventarne segretario generale. Il 1846 segnava la conclusione dell’attività pubblica e professionale di Filippo: ne segnava anche la fine terrena? Forse no. Sta di fatto, che, se nel 1843 il cognome Tomassini in Foligno si affiancava a quello del solo signor Filippo come appare in un (ufficioso) Quadro Statistico-Personale, di lì a pochi anni la Camera Sussidiaria di Commercio rendeva nota la congiunzione ormai avvenuta del cognome Tomassini a quello di Domenico Pacelli: si veda, in proposito, l’Elenco di tutti i Commercianti in istato di Mercatura pubblicato il 14 febbraio 1849. Originario di Terni, ove era nato nel 1823, Domenico nel ’43 aveva sposato Maria Teresa Tomassini e nel 1849 era ormai l’affermato gerente della Casa Tomassini, a capo rimanendovi fino al 1887, anno della sua morte. Nella sua vicenda folignate, Domenico aveva avuto una rispettabile presenza pubblica. Tra i fondatori della Cassa di Risparmio (1858), ne era stato consigliere dal primo momento fino al 1865 (gli atti gli assegnano il titolo dottorale); nel 1857 aveva sottoscritto un’azione per la ferrovia Pio Centrale, l’embrione di quella che sarebbe diventata la Roma-Ancona; fu altresì consigliere e assessore del Comune. Stando a ciò che si conosce, con il primo lustro degli anni 1890 la Casa Tomassini chiudeva i battenti.

     Fino a quando Giovanni il fondatore resse le sorti della sua “creatura”? Che ruolo vi ebbero i due figli maschi? Quali fattori spinsero il ternano Pacelli a venire nella nostra città e ad impalmarvi la Maria Teresa? Al momento, l’esistenza in attività diretta da parte di Giovanni la troviamo attestara fino al 1811, quando, ormai “tipografo imperiale”, dichiarava di essere operativo da trentadue anni, per eredità avuta da Pompeo Campana. Dotata da un macchinario formato da tre torchi “in caratteri”, la tipografia disponeva di undici assortimenti di caratteri, il che ne faceva l’impianto di maggiore potenzialità produttiva rispetto alle concorrenti Campitelli e Fofi che di assortimenti ne avevano otto ciascuna; come le altre due ditte, anche la Tomassini era in grado di comporre testi con caratteri di ogni qualità ma nelle sole lingue francese, italiana, latina. Privo di rami, il che era senz’altro una limitazione, di Giovanni si annotava: “non è libraio, fonditore, incisore, legatore di libri e non esercita nessun commercio nell’arte del libraio”. Perciò, fino al 1811 la Casa Tomassini si muoveva in un perimetro molto circoscritto. Dieci anni dopo, l’evoluzione in senso editoriale della stamperia sembra fosse giunta a buon punto: è quanto si può cogliere scorrendo i titoli impressi in allegato a Li fasti della Chiesa. Racconti istorici di un solitario. 1821, opera di Vincenzo Galligari (Foligno 1773-1845), notaio e procuratore legale, figlio del noto organaro Luigi (1741-1827): trattasi di quattro pagine recanti le Opere vendibili nella stamperia di Gio. Tomassini di Fuligno.

     Nel fatidico 1821, la stamperia mandava ai librai, insieme al Galligari appena citato, i testi che seguono: la Lettera del Signor Carlo Luigi de Haller già membro del Consiglio sovrano di Berna alla sua famiglia per dichiararle il suo ritorno alla Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana. Prima edizione di Fuligno, dopo altre sette eseguite in varie città d’Italia, di 45,[3] pp.: editorialmente così rilevante da meritare l’inserimento nell’OPAC; come, del resto, i Documenti per tranquillare le anime timorose nelle loro dubbiezze del reverendissimo padre Don Carlo Giuseppe Quadrupani Barnabita tratta da’ Santi più illuminati e massime da S. Francesco di Sales. Edizione XXXII. Coll’aggiunta di brevi preci giornaliere, 119, [1] pp.; di Alfonso Maria de’ Liguori, il Confessore diretto per le confessioni della gente di campagna, ediz. IIIa, voll. due di pp. IX, 408 + 405; Il tesoro della devozione, di Francesco Maria Battaglia, di pp. 160, 33 incisioni riquadrate con fregio, raffiguranti le fasi della Messa ed alcuni sacramenti; la Breve istruzione sopra la Regola del Padre S. Francesco, di Giuseppe Maria De Bonis. Al di là dell’orizzonte agiografico-devozionale, s’inviarono al pubblico la Istoria dove si contiene la liberazione di Vienna e presa della Città di Strigonia con la morte che ha fatto il Gran Visir, 13, [1] pp.: un racconto popolare in versi di connotante tonalità anti-turca; la Breve e succinta relazione storica sulla fondazione e pregi di Pesaro, di Macrobio da Pesaro, pp. 124. Per restare in Foligno, si videro: l’Istruzione pubblica di Fuligno. Esercizj letterarj per l’esame scolastico del 1821, di pp. 24, con frontespizio in cornice xilografata; e Foligno. Istruzione pubblica di Fuligno. Atti relativi ai pubblici esami e distribuzione generale dei premj d’incoraggiamento fatta il giorno 23 settembre 1821. Offerta all’Eminentissimo Principe Signor Cardinale Bartolomeo Pacca Camerlengo di S. Chiesa e protettore di questa città, di pp. 15, cornice e vignetta simbolica; nonché, immancabile, il Lunario del Rinomato Barbanera, in foglio incorniciato.

     Nel 1790, Giovanni ancora vivo e vegeto aveva editato la Lettera a Soffia intorno alla setta dominante del nostro tempo di Alfonso Muzzarelli. Aveva iniziato a stampare le opere di questo Autore nel 1789 dando ai torchi un lavoro su Gregorio VII, avrebbe continuato a farlo fino al 1814, quando riproponeva la seconda edizione della Lettera. Nato a Ferrara nel 1749, Muzzarelli, presbitero formatosi alla scuola dei Gesuiti, moriva nel 1813 a Parigi. Si è notato che la rivoluzione dell’89 dette una “sferzata più vibrante” ai suoi scritti, e con la Lettera “l’attacco al Deismo si colora[va] di allarmato monito sulla deriva rivoluzionaria avviata in Francia”. Muzzarelli “lanciò” Tomassini nel firmamento dell’editoria italiana, nonostante i limiti del relativo attrezzamento produttivo dei quali s’è detto. Reazionario l’Autore, reazionario il Tipografo: si leggano, a tal proposito, La buona causa. Storie e voci della Reazione in Italia, a cura di Stefano Verdino, Torino, Aragno, 2017, pp. 3-16 e passim; e i tre interventi di Bettoni sul periodico “Città” del giugno-agosto 1989: Preghiere e indulgenze contro la Rivoluzione; Filosofia e Rivoluzione; Frivolezza, devozione e propaganda; la Rivoluzione, ben s’intenda, è quella dell’89.

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